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BLP

2025/17

Nuovi orizzonti della tutela (penale?) dell’informazione societaria: “informazione non finanziaria” e “informazione sulla sostenibilità” dell’attività d’impresa

The protection of the truthfulness and transparency of corporate information is a classic pillar of the Economic Criminal Law. Criminal provisions aimed at punishing false accounting and other false corporate communications have been present since a long time in the criminal and commercial laws of the EU-Member States. The paper considers the history of the false accounting in Italy and the future evolution of this traditional approach of Economic Criminal Law in consideration of the new wave of the European regulation of corporate information, particularly the European Directives about “Non-Financial Statement” (Dir. 2014/95/EU) and “Corporate Sustainability Reporting” (Dir. 2022/2464/EU).

1. Introduzione: la tormentata evoluzione delle false comunicazioni sociali nel nuovo secolo

Il tema della tutela penale dell’informazione societaria è un tema classico del dibattito penalistico sulla disciplina penale delle società commerciali:[1] un tema che conobbe una grande popolarità sul finire del XX secolo, quando in dottrina si parlava dello “straordinario sviluppo” della fattispecie di false comunicazioni sociali.[2] Ci si riferisce naturalmente alla fase finale della sessantennale parabola storica dell’art. 2621 n. 1 c.c., nella versione originaria del Codice civile del 1942; fase finale che coincise con l’epopea dei processi di Tangentopoli, nei quali l’art. 2621 n. c.c. assurse in molti casi a chiave di volta delle indagini giudiziarie in materia di corruzione e finanziamento illecito dei partiti politici.

A tale fase fece seguito, come è noto, la riforma del 2002 (d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61), con la pratica scomparsa dei nuovi art. 2621 e 2622 c.c. dall’orizzonte del diritto vivente; ma non venne meno, nemmeno in quella fase, l’attenzione e la sensibilità della giurisprudenza per la tutela penale dell’informazione societaria, facendo leva sulle vecchie e nuove fattispecie incriminatrici dell’aggiotaggio e delle manipolazioni del mercato, che finirono per soppiantare – raccogliendone in certo modo l’eredità – la funzione storica delle false comunicazioni sociali, ogniqualvolta venissero in considerazione informazioni societarie non corrette e potenzialmente suscettibili di provocare una sensibile alterazione del mercato dei titoli quotati (manipolazione del mercato ex art. 185 TUF) o non quotati (aggiotaggio ex art. 2637 c.c.).[3]

Poi arrivò – come è altrettanto noto – la nuova riforma del 2015 (l. 27 maggio 2015, n. 69), l’ultima (per ora?) nella tormentata vicenda storica, sul piano legislativo e interpretativo, delle false comunicazioni sociali nel corso del nuovo secolo, dopo che per 60 anni l’evoluzione della fattispecie – lo “straordinario sviluppo” segnalato da Nicola Mazzacuva – si era prodotto solo ed esclusivamente sul piano dell’interpretazione (giurisprudenziale e dottrinale), mentre il dettato normativo era rimasto assolutamente immobile dalle origini (1942) fino alla riforma del 2002 (se si fa eccezione, ovviamente, per l’entità della pena pecuniaria). Una mobilità e vitalità interpretativa contrapposta alla immobilità del dato normativo, che era stata significativamente assunta a paradigma e sintomo di un congenito difetto di tassatività[4] della formulazione originaria dell’art. 2621 n. 1 c.c.: una fattispecie così elastica e flessibile da consentire di dar vita a evoluzioni ed espansioni interpretative sul versante dell’elemento soggettivo del reato (l’avverbio “fraudolentemente”), sul versante del concetto di “bilancio” (con l’avvento dei bilanci consolidati di gruppo) e di “comunicazione sociale” (capace di estendersi alle comunicazioni a destinatario determinato e alle comunicazioni alle pubbliche autorità di vigilanza), così come sul versante dell’oggettività giuridica, che da una originaria dimensione endosocietaria è stata proiettata nel corso degli anni sempre più su una dimensione immateriale e istituzionale come la trasparenza, veridicità e completezza dell’informazione societaria.[5]

La riforma del 2015 ha restituito una certa dignità e spessore sanzionatorio ai nuovi art. 2621 e 2622 c.c., liberandoli dagli elementi più clamorosamente distonici rispetto alle reali chances di applicazione pratica: le soglie quantitative di rilevanza, l’evento di danno patrimoniale per società, soci e creditori, la procedibilità a querela. Ma certo non ha riportato le false comunicazioni sociali agli antichi fasti del secolo ormai trascorso, poiché le nuove e più moderne figure degli abusi di mercato del Testo unico della finanza (in particolare per quanto qui riguarda la manipolazione del mercato ex art. 185 TUF) mostrano ormai inevitabilmente un ben maggiore grado di “appeal” per le procure, alla ricerca di un agile e flessibile strumento di intervento per sanzionare (con pene e sanzioni amministrative potenzialmente draconiane) le false informazioni societarie suscettibili di produrre un significativo impatto sull’andamento dei titoli quotati nei mercati regolamentati dell’Italia e dell’Unione Europea.

Non sono peraltro cessate, come è noto, le controversie interpretative, poiché sin dal primo avvento della riforma del 2015 si è originata una singolare (e ad avviso di chi scrive alquanto sorprendente) varietà di orientamenti, nella stessa giurisprudenza di legittimità, sulla tematica del c.d. “falso valutativo”, fra un orientamento che finiva col contraddire clamorosamente i dichiarati intenti della riforma,[6] amputando dall’ambito di operatività della fattispecie tutta la parte valutativa dei bilanci societari,[7] ed un diverso orientamento che invece non attribuiva alcun particolare rilievo all’eliminazione dell’inciso “ancorché oggetto di valutazione” dalla descrizione della condotta tipica come “esposizione di fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero”; orientamento delineato da una dettagliata relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione[8] ed infine fatta propria dalle Sezioni Unite, con la sentenza del 31 marzo 2016.[9]

2. Il diritto europeo e le nuove prospettive della tutela dell’informazione societaria

Ma l’intento di queste brevi note non è tanto quello di rievocare il passato prossimo e remoto della fattispecie di false comunicazioni sociali, quanto piuttosto quello di fare il punto sui possibili sviluppi futuri della tematica dell’informazione societaria e delle sue forme di tutela giuridica. Siamo infatti verosimilmente alla vigilia di una trasformazione profonda di questa materia, sulla base degli impulsi di rinnovamento provenienti dal diritto europeo.

Che sia l’Europa a fungere ancora una volta da motore dell’evoluzione della tutela (penale ed extrapenale) dell’informazione societaria, così come più in generale della disciplina civile e penale delle società commerciali, non può certo sorprendere, visto che da almeno mezzo secolo a questa parte tutte o quasi le modificazioni della materia sono nate da un preciso impulso europeo.

Basti pensare alla cospicua serie di direttive europee che, nelle due ultime decadi del XX secolo, hanno arricchito la disciplina dell’informazione societaria, in particolare la IV e VII direttiva sui conti annuali e consolidati, implementate in Italia al principio degli anni ‘90 (d.lgs. 157/1991) con importanti conseguenze anche sotto il profilo penalistico.

E basti pensare poi alla sentenza della Corte europea di giustizia del 3 maggio 2005[10] – originata dalla riforma italiana delle false comunicazioni sociali del 2002 – che ha affermato per la prima volta l’esigenza che gli Stati membri apprestino una tutela adeguata (efficace, proporzionata e dissuasoria) contro le false informazioni a contenuto economico provenienti dalle società commerciali nell’interesse dei soci e soprattutto dei terzi, facendo assurgere la trasparenza, veridicità e completezza dell’informazione societaria al rango di vero e proprio bene giuridico di rilevanza europea.[11] E appena un cenno, infine, ai diversi atti di impulso – di fonte europea e internazionale (report del GRECO e dell’OCSE, raccomandazioni del Parlamento europeo) – che hanno spinto il legislatore italiano ad intervenire sulla materia delle false comunicazioni sociali con la l. 69/2015, che ha delineato l’assetto attuale degli art. 2621-2622 c.c.

Nel corso dell’ultima decade il legislatore europeo ha dapprima elaborato una sorta di testo unico della disciplina europea dell’informazione societaria a contenuto economico, raccogliendo all’interno di un’unica direttiva (Dir. 2013/34/UE)[12] tutto il complesso degli atti precedenti riguardanti la medesima materia. E poi, a partire dall’anno seguente (2014), ha iniziato a delineare un nuovo orizzonte dell’informazione societaria, dapprima con la direttiva sulla “informazione non finanziaria” (Dir. 2014/95/UE)[13] e da ultimo con la direttiva relativa alla “rendicontazione societaria di sostenibilità” (Dir. 2022/2464/UE),[14] all’interno di una variegata gamma di iniziative tutte tendenti ad inserire l’attività economica in un contesto di protezione di diritti umani, sociali e ambientali.[15]

3. La Direttiva 2013/34/UE sui bilanci societari

La direttiva bilanci del 2013 detta una disciplina generale dei bilanci annuali e consolidati, che rappresenta un po’ la “summa” dell’elaborazione delle direttive europee dei decenni precedenti in materia di informazione societaria. Alle disposizioni di carattere generale – fra le quali spiccano quelle relative ai “principi generali di bilancio” (art. 6) – fanno seguito le disposizioni relative allo stato patrimoniale e al conto economico (art. 9-14), quelle relative alla nota integrativa (art. 15-18) e alla relazione sulla gestione e sul governo societario (art. 19-20) e infine le disposizioni in materia di bilanci e relazioni consolidati per i gruppi di società (art. 21-29). Chiudono il nucleo centrale e più significativo della direttiva le disposizioni in materia di pubblicazione di bilanci e relazioni (art. 30-33) e in materia di revisione dei conti (art. 34-35), dove compaiono importanti previsioni su doveri e responsabilità degli organi di amministrazione, direzione e controllo dell’impresa nell’elaborazione e nella pubblicazione del bilancio e della relazione sulla gestione e sul governo societario (ordinario e consolidato). Fra le disposizioni finali compare una norma sulle sanzioni (art. 51) che tace sulla natura delle medesime (civile, amministrativa o penale), disponendo che “gli Stati membri prevedono sanzioni applicabili alle violazioni delle disposizioni nazionali adottate in conformità della presente direttiva e adottano tutte le misure necessaria per assicurarne l’applicazione. Le sanzioni previste sono efficaci, proporzionate e dissuasive”.

Di particolare interesse – e anticipatrici in qualche modo dei successivi sviluppi normativi a livello europeo – le disposizioni relative alla “relazione sulla gestione” (art. 19) e sulla “gestione consolidata” (art. 29). Fra i “considerando” della direttiva si legge che “la relazione sulla gestione e la relazione sulla gestione consolidata costituiscono elementi essenziali dell’informativa di bilancio. Dovrebbero presentare almeno un fedele resoconto dell’andamento dell’attività e della situazione dell’impresa, formulato in modo compatibile con le dimensioni e la complessità dell’impresa. Le informazioni non dovrebbero limitarsi agli aspetti finanziari dell’attività dell’impresa e dovrebbe esservi un’analisi dei loro aspetti ambientali e sociali necessari per la comprensione dell’andamento, dei risultati o della situazione dell’impresa” o del gruppo di imprese (considerando n. 26). 

4. La Direttiva 2014/95/UE sull’informazione “non finanziaria”

Sul quadro normativo della direttiva bilanci avrebbe fatto irruzione, di lì a poco più di un anno, la nuova direttiva sulla “comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni” (Dir. 2014/95/UE). La nuova direttiva si richiama espressamente alle risoluzioni del Parlamento europeo del 6 febbraio 2013 sulla “Responsabilità sociale delle imprese”, l’una dedicata al “comportamento commerciale trasparente e responsabile e crescita sostenibile” e l’altra volta invece a “promuovere gli interessi della società e un cammino verso una ripresa sostenibile e inclusiva”. “Il Parlamento europeo – si legge nella direttiva – ha riconosciuto l’importanza della comunicazione, da parte delle imprese, di informazioni sulla sostenibilità, riguardanti ad esempio i fattori sociali e ambientali, al fine di individuare i rischi per la sostenibilità e accrescere la fiducia degli investitori e dei consumatori. In effetti, la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario è fondamentale per gestire la transizione verso un’economia globale sostenibile coniugando redditività a lungo termine, giustizia sociale e protezione dell’ambiente” (considerando n. 3).

L’art. 1 Dir. 2014/95 inserisce nel corpo della direttiva bilanci del 2013 i nuovi art. 19 bis e 29 bis, che istituiscono rispettivamente la “dichiarazione di carattere non finanziario” e la “dichiarazione non consolidata di carattere non finanziario”. “Le imprese di grandi dimensioni che costituiscono enti di interesse pubblico e che, alla data di chiusura del bilancio, presentano un numero di dipendenti occupati in media durante l’esercizio pari a 500 includono nella relazione sulla gestione una dichiarazione di carattere non finanziario contenente almeno informazioni ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva in misura necessaria alla comprensione dell’andamento dell’impresa, dei suoi risultati, della sua situazione e dell’impatto della sua attività, tra cui:

  1. una breve descrizione del modello aziendale dell’impresa;
  2. una descrizione delle politiche applicate dall’impresa in merito ai predetti aspetti, comprese le procedure di dovuta diligenza applicate;
  3. il risultato di tali politiche;
  4. i principali rischi connessi a tali aspetti legati alle attività dell’impresa anche in riferimento, ove opportuno e proporzionato, ai suoi rapporti, prodotti e servizi commerciali che possono avere ripercussioni negative in tali ambiti, nonché le relative modalità di gestione adottate dall’impresa;
  5. gli indicatori fondamentali di prestazione di carattere non finanziario pertinenti per l’attività specifica dell’impresa” (art. 19 bis).

Lo stesso vale, mutatis mutandis, per la “dichiarazione consolidata di carattere non finanziario” (art. 29 bis), che viene imposta agli “enti di interesse pubblico che sono imprese madri di un gruppo di grandi dimensioni”, valutato secondo lo stesso parametro dimensionale di cui all’art. 19 bis.

5. Il d.lgs. 254/2016 e la dichiarazione (individuale o consolidata) “di carattere non finanziario”

La direttiva sull’informazione non finanziaria è già stata attuata in Italia con il d.lgs. 30 dicembre 2016 n. 254,[16], che introduce nel nostro ordinamento la “dichiarazione” (individuale o consolidata) “di carattere non finanziario” (art. 3 e 4 d.lgs. 254/2016), la quale, “nella misura necessaria ad assicurare la comprensione dell’attività d’impresa, del suo andamento, dei suoi risultati e dell’impatto dalla stessa prodotta, copre i temi ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva, che sono rilevanti tenuto conto delle attività e delle caratteristiche dell’impresa, descrivendo almeno:

  1. il modello aziendale di gestione ed organizzazione delle attività d’impresa, ivi inclusi i modelli di organizzazione e di gestione eventualmente adottati ai sensi dell’art. 6 comma 1 lett. a), d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, anche con riferimento alla gestione dei suddetti temi;
  2. le politiche praticate dall’impresa, comprese quelle di dovuta diligenza, i risultati conseguiti tramite di esse ed i relativi indicatori fondamentali di prestazione di carattere non finanziario;
  3. i principali rischi, generati o subiti, connessi ai suddetti temi e che derivano dalle attività dell’impresa, dai suoi prodotti, servizi o rapporti commerciali, incluse, ove rilevanti, le catene di fornitura e subappalto;

2. In merito agli ambiti di cui al comma 1, la dichiarazione di carattere non finanziario contiene almeno informazioni riguardanti:

  1. l’utilizzo di risorse energetiche, distinguendo fra quelle prodotte da fonti rinnovabili e non rinnovabili, e l’impiego di risorse idriche;
  2. le emissioni di gas ad effetto serra e le emissioni inquinanti in atmosfera;
  3. l’impatto, ove possibile sulla base di ipotesi o scenari realistici anche a medio termine, sull’ambiente nonché sulla salute e la sicurezza, associato ai fattori d rischio di cui al comma 1, lettera c), o ad altri rilevanti fattori di rischio ambientale e sanitario;
  4. aspetti sociali e attinenti alla gestione del personale, incluse le azioni poste in essere per garantire la parità di genere, le misure volte ad attuare le convenzioni di organizzazioni internazionali e sovranazionali in materia, e le modalità con cui è realizzato il dialogo con le parti sociali;
  5. rispetto dei diritti umani, le misure adottate per prevenirne le violazioni, nonché le azioni poste in essere per impedire atteggiamenti ed azioni comunque discriminatori;
  6. lotta contro la corruzione sia attiva sia passiva, con indicazione degli strumenti a tal fine adottati”.

6. Nuovi illeciti amministrativi e richiamo alle false comunicazioni sociali

Il d.lgs. 254/2016 contiene anche una norma sulle sanzioni (art. 8), prevedendo tre diverse ipotesi di illecito amministrativo:

  1. il primo riguarda l’omesso deposito da parte degli amministratori, nei termini prescritti, presso il registro delle imprese, della dichiarazione individuale o consolidata di carattere non finanziario (punita con sanzione amministrativa pecuniaria – previo accertamento e irrogazione da parte della Consob – da 20.000 a 100.000 €);
  2. il secondo illecito – sanzionato nei medesimi termini – riguarda la mancata redazione della dichiarazione in conformità a quanto prescritto dalla legge;
  3. il terzo e più grave illecito – con sanzione amministrativa pecuniaria da 50.000 a 150.000 € – viene integrato, da parte degli amministratori e dei componenti dell’organo di controllo, “salvo che il fatto costituisca reato, quando la dichiarazione individuale o consolidata di carattere non finanziario depositata presso il registro delle imprese contiene fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omette fatti materiali rilevanti la cui informazione è prevista ai sensi degli art. 3 e 4 del presente decreto”.

L’illecito amministrativo più lieve (omessa pubblicazione e deposito della dichiarazione) è in linea con quanto previsto dall’art. 2630 c.c. per l’ipotesi dell’omessa pubblicazione e deposito del bilancio d’esercizio: fattispecie di illecito depenalizzato già da oltre 40 anni (in forza della l. 689/1981), in considerazione della sua inidoneità ingannatoria verso tutti i potenziali destinatari dell’informazione societaria.

L’illecito amministrativo più grave, invece, richiama con tutta evidenza gli elementi costitutivi del delitto di false comunicazioni sociali ex art. 2621 o 2622 c.c. (esposizione di “fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero”, ovvero omissione di “fatti materiali rilevanti la cui informazione è prevista” dalla legge) e sembra destinato inevitabilmente – alla luce della clausola di riserva espressa dal legislatore (“salvo che il fatto costituisca reato”) – a cedere il passo alle fattispecie incriminatrici delle false comunicazioni sociali; sempre che, ovviamente, sussistano anche gli altri elementi costitutivi di tali figure delittuose. Non si potrebbe certo dubitare sul fatto che la dichiarazione (individuale o consolidata) di carattere non finanziario rientri nell’alveo delle “comunicazioni sociali” ex art. 2621 e 2622 c.c., posto che fa parte integrante della relazione sulla gestione, sulla base dell’inequivoco impianto della normativa europea sopra descritto. Qualche perplessità potrebbe sorgere, invece, circa l’oggetto della falsità, poiché gli art. 2621 e 2622 c.c. fanno riferimento alla “situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società o del gruppo”, mentre il d,lgs. 254/2016 tipicizza dichiarazioni “di carattere non finanziario”. Salvo ritenere, tuttavia, che anche questa dichiarazione si riverberi indirettamente sulla situazione finanziaria della società o del gruppo, in quanto anche le componenti ambientali e sociali dell’attività d’impresa alle quali fa riferimento la dichiarazione “di carattere non finanziario” incidono inevitabilmente sul valore della società o del gruppo, perlomeno per una parte degli investitori attuali o potenziali sul mercato dei capitali.

Sembrano riemergere in questa discussione gli echi del dibattito di fine secolo sul c.d. “falso qualitativo”: in particolare quando si discuteva – in particolare nella vicenda giurisprudenziale relative alle tangenti del gruppo Fiat[17] – sul fatto che anche manipolazioni dei bilanci quantitativamente modeste potessero essere rilevanti sulle decisioni di investimento di talune categorie di investitori, quando si trattasse di manipolazioni volte a consentire la costituzione di fondi neri destinati al pagamento di tangenti, oppure volte ad occultare le avvenute dazioni illecite. Al dibattito sulla rilevanza penale del falso qualitativo avrebbe poi “tagliato la testa al toro”, come è a tutti noto, la riforma del 2002, con l’introduzione delle soglie quantitative di rilevanza delle false comunicazioni sociali, che avrebbe sancito “per tabulas” la rilevanza penale della sola dimensione quantitativa del falso.

Oggi la situazione sembra essersi rovesciata: dapprima la riforma del 2015 ha eliminato le soglie quantitative di rilevanza dalle fattispecie incriminatrici degli art. 2621 e 2622 c.c.; e poi il d.lgs. 254/2016, seguendo l’impulso del legislatore comunitario, ha sancito – indirettamente ma inequivocabilmente – la rilevanza anche finanziaria di talune informazioni di carattere non finanziario.

Di particolare rilievo, poi, sotto il profilo della potenziale espansione del campo di operatività delle false comunicazioni sociali, il richiamo espresso operato dall’art. 3 comma 1 lett. b) al “modello aziendale di gestione ed organizzazione dell’attività d’impresa, ivi inclusi i modelli di organizzazione e di gestione eventualmente adottati ai sensi dell’art. 6 comma 1 lett. a), d.lgs. 231/2001”. In forza di questa previsione, dunque, anche i “modelli 231” entrano necessariamente a far parte integrante della dichiarazione “di carattere non finanziario”, e come tale l’eventuale esposizione in tali modelli di organizzazione e gestione di “fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero”, ovvero l’omissione di “fatti materiali rilevanti la cui informazione è prevista” dal d.lgs. 254/2016, potrebbe assurgere a rilevanza penale ex art. 2621 e 2622 c.c.

7. La Direttiva 2022/2464 e la “rendicontazione societaria di sostenibilità”

Ma l’evoluzione a ritmo incalzante della normativa europea in materia di informazione societaria non si è affatto arrestata. Poco più di un anno fa la nuova direttiva 2022/2464 del 14 dicembre 2022[18] ha sostituito la “dichiarazione di carattere non finanziario” con la “rendicontazione societaria di sostenibilità”. E non si è trattato di una modificazione solo lessicale, ma di un significativo arricchimento del contenuto e delle finalità di tale componente della relazione sulla gestione.

Le premesse di questa iniziativa sono chiaramente e dettagliatamente esposte nei vari “considerando” iniziali. Il legislatore europeo richiama la comunicazione della Commissione dell’11 dicembre 2019 sul “Green Deal europeo”, con il quale la Commissione si era impegnata a riesaminare la Dir. 2013/34/UE (così come integrata dalla Dir. 2014/95/UE) sulla “comunicazione di informazioni di carattere non finanziario” (considerando n. 1).

“Molti portatori di interessi” – rileva il legislatore europeo – “ritengono che l’espressione “di carattere non finanziario” sia imprecisa, in particolare perché implica che le informazioni in questione non siano affatto pertinenti sul piano finanziario. Sempre più spesso, tuttavia, tali informazioni sono in realtà pertinenti sul piano finanziario. Molte organizzazioni e iniziative e molti professionisti del settore della rendicontazione di sostenibilità fanno riferimento alle “informazioni sulla sostenibilità”. È dunque preferibile utilizzare l’espressione “informazioni sulla sostenibilità” anziché “informazioni di carattere non finanziario”. La Dir. 2013/34/UE dovrebbe pertanto essere modificata per tenere conto di tale modifica terminologica” (considerando n. 8).[19]

Sulla base di questa premessa la nuova direttiva riformula radicalmente l’art. 19 bis Dir. 2013/34/UE, che viene così ad essere intitolato alla “rendicontazione di sostenibilità”.

Innanzitutto, viene fortemente esteso l’ambito soggettivo dei destinatari: non più solo imprese e gruppi di grandi dimensioni, ma tutte “le piccole e medie imprese, ad eccezione delle microimprese”, che siano “enti di interesse pubblico”. Tutti questi soggetti economici sono oggi tenuti ad includere “nella relazione sulla gestione informazioni necessarie alla comprensione dell’impatto dell’impresa sulle questioni di sostenibilità, nonché informazioni necessarie alla comprensione del modo in cui le questioni di sostenibilità influiscono sull’andamento dell’impresa, sui suoi risultati e sulla sua situazione”.

Le informazioni sulla sostenibilità devono essere “chiaramente identificabili nella relazione sulla gestione, tramite un’apposita sezione di tale relazione”.

Tali informazioni devono racchiudere una ricca serie di elementi, fra i quali:

  1. “una breve descrizione del modello e della strategia aziendali dell’impresa, che indichi:
    1. la resilienza del modello e della strategia aziendali dell’impresa in relazione ai rischi connessi alle questioni di sostenibilità;
    2. le opportunità per l’impresa connesse alle questioni di sostenibilità;
    3. i piani dell’impresa, inclusi le azioni di attuazione e i relativi piani finanziari e di investimento, atti a garantire che il modello e la strategia aziendali siano compatibili con la transizione verso un’economia sostenibile e con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5°C in linea con l’accordo di Parigi nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici adottato il 12 dicembre 2015(“accordo di Parigi”) e l’obiettivo di conseguire la neutralità climatica entro il 2050 come stabilito dal regolamento (UE) 2021/1119 del Parlamento europeo e del Consiglio, e, se del caso, l’esposizione dell’impresa ad attività legate al carbone, al petrolio e al gas;
    4. il modo in cui il modello e la strategia aziendali dell’impresa tengono conto degli interessi dei suoi portatori di interessi e del suo impatto sulle questioni di sostenibilità;
    5. le modalità di attuazione della strategia dell’impresa per quanto riguarda le questioni di sostenibilità;
  2. una descrizione degli obiettivi temporalmente definiti connessi alle questioni di sostenibilità individuati dall’impresa, inclusi, ove opportuno, obiettivi assoluti di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra almeno per il 2030 e il 2050, una descrizione dei progressi da essa realizzati nel conseguimento degli stessi e una dichiarazione che attesti se gli obiettivi dell’impresa relativi ai fattori ambientali sono basati su prove scientifiche conclusive;
  3. una descrizione del ruolo degli organi di amministrazione, gestione e controllo per quanto riguarda le questioni di sostenibilità e delle loro competenze e capacità in relazione allo svolgimento di tale ruolo o dell’accesso di tali organi alle suddette competenze e capacità;
  4. una descrizione delle politiche dell’impresa in relazione alle questioni di sostenibilità;
  5. informazioni sull’esistenza di sistemi di incentivi connessi alle questioni di sostenibilità e che sono destinati ai membri degli organi di amministrazione, direzione e controllo;
  6. una descrizione:
    1. delle procedure di dovuta diligenza applicate dall’impresa in relazione alle questioni di sostenibilità e, ove opportuno, in linea con gli obblighi dell’Unione che impongono alle imprese di attuare una procedura di dovuta diligenza;
    2. dei principali impatti negativi, effettivi o potenziali, legati alle attività dell’impresa e alla sua catena del valore, compresi i suoi prodotti e servizi, i suoi rapporti commerciali e la sua catena di fornitura, delle azioni intraprese per identificare e monitorare tali impatti, e degli altri impatti negativi che l’impresa è tenuta a identificare in virtù di altri obblighi dell’Unione che impongono alle imprese di attuare una procedura di dovuta diligenza;
    3. di eventuali azioni intraprese dall’impresa per prevenire o attenuare impatti negativi, effettivi o potenziali, o per porvi rimedio o fine, e dei risultati di tali azioni;
  7. una descrizione dei principali rischi per l’impresa connessi alle questioni di sostenibilità, compresa una descrizione delle principali dipendenze dell’impresa da tali questioni, e le modalità di gestione di tali rischi adottate dall’impresa;
  8. indicatori pertinenti per la comunicazione delle informazioni di cui alle lettere da a) a g)”.

8. In attesa della nuova legge comunitaria: quale spazio per una tutela penale della nuova informazione societaria di “sostenibilità”?

La Dir. 2022/2464 allo stato attuale attende ancora di essere recepita in Italia, nell’ambito della legge comunitaria 2022.[20] Verosimilmente il legislatore italiano provvederà ad introdurre nella direttiva bilanci la nuova terminologia ed i nuovi contenuti, che renderanno la futura “rendicontazione societaria di sostenibilità” molto più ricca e consistente rispetto all’attuale “dichiarazione di carattere non finanziario”.

Difficile invece attendersi novità sul versante sanzionatorio: verosimilmente il legislatore ribadirà l’attuale schema di un illecito amministrativo “progressivo”: dalla mera omessa pubblicazione e deposito della rendicontazione, alla rendicontazione non conforme, sino all’ipotesi più grave di una rendicontazione che contenga esposizione di “fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero”, oppure una omissione di “fatti materiali rilevanti la cui informazione è prevista” dalla legge, con la clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca reato”.[21]

Si tratterà però di stabilire quanto della nuova rendicontazione societaria di sostenibilità – che prevede ampi capitoli di taglio meramente previsionale, dichiarazioni programmatiche e di impegno, ecc. – sia realmente suscettibile di essere declinato in termini di vero o falso.

Fino ad oggi – con riferimento alla informazione non finanziaria – i legislatori nazionali hanno risposto in maniera varia, sotto il profilo delle soluzioni sanzionatorie. Il legislatore tedesco, ad esempio, non ha avuto alcun problema ad includere espressamente la “nicht finanzielle Erklärung” nell’ambito della fattispecie incriminatrice onnicomprensiva e meramente formale della “unrichtige Darstellung” (§ 331 HGB). In altri casi, come in Spagna, si discute circa la effettiva riconducibilità di questo nuovo modello di informazione societaria alla figura di reato della “falsedad en las cuentas” (art. 290 CP), che richiede un elemento di pericolo concreto per gli interessi economico-patrimoniali dei destinatari dell’informazione.[22]

Forse, in una prospettiva di riforma di più ampio respiro, piuttosto che cercare di ricondurre a tutti i costi questa nuova dimensione dell’informazione societaria tracciata dal legislatore europeo degli ultimi anni all’interno del letto di Procuste di una fattispecie incriminatrice come il nostro attuale art. 2621 o 2622 c.c., pensato sì per un’ampia gamma di strumenti informativi, ma pur sempre in una prospettiva di tutela dell’informazione societaria a contenuto economico nel senso tradizionale della parola, varrebbe forse la pena – in considerazione dell’estrema novità ed importanza di questa nuova prospettiva dell’informazione societaria, che guarda anche e soprattutto alla protezione dei diritti umani, sociali e ambientali nell’attività d’impresa – pensare ad uno strumento penale diverso dal tradizionale arsenale sanzionatorio del falso in bilancio. E, a livello europeo, sarebbe forse il caso di progettare (finalmente) una direttiva di armonizzazione delle discipline penali nazionali in materia di tutela dell’informazione societaria, tanto nelle sue tradizionali forme “bilancistiche” quanto in queste nuove sembianze di informazione sulla “sostenibilità” dell’attività d’impresa, seguendo e innovando le linee tracciate – in ordine alla rilevanza europea di un bene giuridico definibile come trasparenza, veridicità e completezza dell’informazione societaria – dalla sentenza della Corte europea di giustizia del 3 maggio 2005.

1

Sia consentito il rinvio – per gli essenziali riferimenti di dottrina e giurisprudenza – a L. Foffani, ‘Reati Societari’, in C. Pedrazzi et al. (a cura di), Manuale di Diritto Penale dell’Impresa, 2 ed., Monduzzi, Bologna, 2000.

2

N. Mazzacuva, ‘Lo straordinario “sviluppo” delle false comunicazioni sociali nel diritto penale giurisprudenziale: tra legittime istanze punitive e “irrazionali” soluzioni interpretative, in Crit. Dir., 1995, p. 283 ss.

3

Si rinvia in proposito alle considerazioni svolte in L. Foffani, ‘Economia e diritto penale nel tempo della crisi: una “nouvelle vague” dell’intervento giudiziario?’, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 2014, p. 754-766; L. Foffani, ‘Una “nouvelle vague” del diritto penale economico in Italia? ‘, in L. Foffani, D. Castronuovo (a cura di), Casi di Diritto Penale dell’Economia. I. Impresa e Mercato (Cirio, Parmalat, Bnl-Unipol, Antonveneta), Il Mulino, Bologna, 2015.

4

Si veda M. Romano, Commentario Sistematico del Codice Penale, vol. I, 2 ed., Giuffrè, Milano, 1995, p. 415.

5

Ad una esigenza di controllo dei “flussi finanziari” dell’impresa, anche in funzione di baluardo contro possibili impieghi illeciti e corruttivi, facevano ad esempio riferimento le sentenze relative al processo contro le tangenti del gruppo Fiat, probabilmente l’ultimo e più grande processo per false comunicazioni sociali prima della riforma del 2002 (il cui giudicato fu travolto dal successivo “colpo di spugna”). Si veda App. Torino, 28 maggio 1999, Romiti, in Foro it., 2000, II, c. 115 ss.

6

Tanto che taluno, durante la fase di gestazione della riforma, aveva addirittura preconizzato un “suicidio” della medesima: si veda A. Perini, ‘I “fatti materiali non rispondenti al vero”? Harakiri del futuribile falso in bilancio?’, in DPC, 27 aprile 2015.

7

Così Cass., sez. V, 30 luglio 2015, n. 33774, Crespi.

8

Cass., Ufficio del Massimario, Rel. n. V/003/15 del 15 ottobre 2015, in DPC, 30 novembre 2015.

9

Cass. SU, 31 marzo 2016, n. 22474, Passarelli, in DPC, 30 maggio 2016.

10

CGCE, Gr. Sez., 3 maggio 2005, Berlusconi, in Foro it., 2005, IV, c. 285 ss., con nota di A. Di Martino, e con nota di G. Insolera, V. Manes, ‘La sentenza della Corte di giustizia sul falso in bilancio: un epilogo deludente?’, in Cass. Pen., 2005, p. 2764 ss.

11

L. Foffani, ‘Europäisierung versus Nationalisierung des Wirtschaftssstrafrechts: Die italienische Reform der Bilanzfälschung vor dem EuGH (Fall Berlusconi)’, in R. Bloy et al. (Hrsg.), Gerechte Strafe und Legitimes Strafrecht. Festschrift für Manfred Maiwald zum 75. Geburtstag, Duncker & Humblot, Berlin, 2010, p. 153 ss.

12

Direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese, recante modifica della direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e abrogazione delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio, in GUCE, 29 giugno 2013, L 182/19 ss.

13

Direttiva 2014/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014, recante modifica della direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni, in GUCE, 15 novembre 2014, L 330/1 ss.

14

Direttiva (UE) 2022/2464 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 dicembre 2022, che modifica il regolamento (UE) n. 537/2014, la direttiva 2004/109/CE, la direttiva 2006/43/CE e la direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la rendicontazione societaria di sostenibilità, in GUCE, 16 dicembre 2022, L 322/15 ss.

15

Più ampiamente, sul punto, L. Foffani, A. Nieto Martín ‘Auf dem Weg zu einem europäischen Wirtschaftsstrafrecht der Menschenrechte?’, in M. Engelhart, H. Kudich, B. Vogel (Hrsg.), Festschrift für Ulrich Sieber, 2021.

 

16

“Attuazione della direttiva 2014/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014, recante modifica alla direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni”.

17

App. Torino, 28 maggio 1999, Romiti, in Foro it., 2000, II, c. 115 ss.

18

Direttiva (UE) 2022/2464 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 dicembre 2022, che modifica il regolamento (UE) n. 537/2014, la direttiva 2004/109/CE, la direttiva 2006/43/CE e la direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la rendicontazione societaria di sostenibilità, in GUCE, 16 dicembre 2022, L 322/15 ss.

19

Ricco sul punto il dibattito nella dottrina commercialistica: si veda in particolare, nella letteratura italiana, G. Strampelli, ‘L’informazione non finanziaria tra sostenibilità e profitto’, in AGE, 2022, p. 145 ss.; M. Rescigno, ‘Note sulle “regole” dell’impresa “sostenibile”. Dall’informazione non finanziaria all’informativa sulla sostenibilità’, in AGE, 2022, p. 165 ss.; A. Genovese, ‘Bilanci di sostenibilità, tassonomia UE delle attività economiche ecosostenibili e governo societario, in Orizzonti del Diritto Commerciale, n. 2, 2022, p. 497 ss.

20

Si veda ora il Documento per la consultazione pubblica in merito al decreto di recepimento della direttiva (UE) 2022/2464 Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) che modifica il regolamento (UE) n. 537/2014, la direttiva 2004/109/CE, la direttiva 2006/43/CE e la direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la rendicontazione societaria di sostenibilità, diffuso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento del Tesoro.

21

La bozza di decreto legislativo all’art. 10 richiama espressamente l’applicazione degli art. 2621, 2622 e 2630 c.c. “per le violazioni degli obblighi risultanti dal presente decreto”.

22

Si veda R. Montaner Fernández, ‘Las auditorías sociales y su posible trascendencia para el Derecho penal’, in RECPC, n. 24-33, 2022.