Bocconi Knowledge

01/12/2022 Mariano Andrea Morabito

I Diritti Collettivi per i Lavoratori Autonomi

Un Dialogo tra le Prospettive del Diritto del Lavoro e quelle della Disciplina Antitrust

Il 1° dicembre 2022 si è tenuto un seminario organizzato dal Dipartimento di Studi Giuridici Angelo Sfraffa volto ad analizzare la disciplina dei contratti collettivi conclusi dai lavoratori autonomi sviluppatasi a livello europeo sia da un punto di vista giuslavoristico che dalla prospettiva del diritto antitrust. Sul tema sono intervenute le Prof.sse Elena Gramano e Mariateresa Maggiolino che hanno analizzato i profili più problematici nel tentativo di trovare un punto di incontro tra la visione sociale tipica della disciplina giuslavoristica e l’approccio liberista caratterizzante il diritto della concorrenza.

Nelle prime fasi del percorso di integrazione europea la dimensione sociale fu trascurata in quanto si partì dal presupposto secondo cui la creazione di un mercato unico avrebbe automaticamente giovato anche ai lavoratori. Tuttavia, questa premessa non tenne conto delle esigenze di tutela dei lavoratori, che si ritrovarono in un mercato del lavoro in cui l’offerta era significativamente inferiore rispetto alla domanda. Il naturale risultato di questa disproporzione fu che nella maggioranza dei casi il datore di lavoro (i.e. la domanda) poteva scegliere tra più lavoratori (i.e. l’offerta); ne conseguiva che il datore di lavoro godesse di un maggiore potere contrattuale che comportava degli importanti squilibri. Ciò indusse a ritenere necessaria l’adozione di misure che andassero in favore della dimensione sociale del lavoratore: per sopperire allo squilibrio nacquero quindi l’aggregazione dei lavoratori e, conseguentemente, i contratti collettivi. Tuttavia, è proprio come conseguenza di questo scenario che sono emersi profili di contrasto tra l’esercizio di diritti sociali e il diritto della concorrenza: pertanto diviene fondamentale adottare una prospettiva interdisciplinare. 

A tal riguardo, la Prof.ssa Maggiolino ha a sua volta evidenziato come anche l’approccio economico sia mutato nel tempo: si è smesso infatti di guardare al mercato del lavoro come se fosse concorrenziale, cominciando a considerarlo monopsonistico. Gli economisti, rendendosi conto dei problemi che sorgevano con riguardo alla disciplina dei contratti collettivi, hanno cominciato ad abbracciare la narrativa dei giuslavoristi e hanno trascinato nel dibattito anche quelli specializzati nella materia dell’antitrust che fino a quel momento non ritenevano necessario intervenire.

Contratti collettivi e art. 101 TFEU nella giurisprudenza della Corte di Giustizia

Un contratto collettivo è un accordo che restringe la concorrenza tra i lavoratori cui sono applicate condizioni di lavoro omogenee. Attraverso questo strumento, i datori di lavoro determinano insieme il costo del lavoro e non possono competere tra loro giocandovi al ribasso. La problematicità della questione emerse, a livello europeo, per la prima volta nel caso Albany,[1] in cui la Corte di Giustizia escluse che i contratti collettivi potessero rientrare nell’ambito di applicazione dell’art 101 TFEU[2] al fine di non eliminare uno strumento fondamentale per la tutela dei lavoratori. Successivamente, nel caso FNV Kunsten[3] la Corte fu chiamata a chiarire se un contratto collettivo sottoscritto sia da lavoratori subordinati che da rappresentanti di lavoratori autonomi rientrasse nell’ambito di applicazione dell’art 101 TFEU. Nella decisione fu specificato che i lavoratori autonomi rientrano nella nozione di impresa ai fini dell’applicazione dell’articolo in questione e che quindi gli accordi collettivi che li includono violerebbero l’art. 101. Tuttavia, secondo la Corte, questo ragionamento non si applica per quei lavoratori che si trovano in una situazione simile a quella dei lavoratori subordinati e che costituiscono la categoria dei falsi lavoratori autonomi. Con questo termine la Corte di Giustizia mirò a identificare tutti quei lavoratori che, nonostante fossero formalmente qualificati come lavoratori autonomi, non godevano di autonomia nell’organizzazione del lavoro, non determinavano le modalità di esercizio della professione (le quali dipendono dal committente) e non sopportavano dei rischi per la loro attività economica. Nondimeno, la soluzione adottata dalla Corte espone il fianco ad alcune critiche: innanzitutto non viene chiarita la definizione di falsi lavoratori autonomi; non si comprende se la Corte abbia creato una terza categoria, discostandosi dalla tradizionale bipartizione tra lavoratore subordinato e lavoratore autonomo e ci si interroga infine se sia corretta la conclusione per cui i lavoratori autonomi siano da considerarsi imprese. 

Proseguendo il discorso, la Prof.ssa Maggiolino ha fatto notare come la Corte di Giustizia sia precisa, in Albany, nel sottolineare che questo tipo di accordi non rientra nell’ambito di applicazione dell’art 101 TFEU e che quindi non viola la disciplina sulla concorrenza. Al contrario, qualora la Corte avesse seguito la linea argomentativa per cui gli accordi, pur violando la disciplina sulla concorrenza, apporterebbero un miglioramento alle condizioni di vita dei lavoratori e dunque diventerebbero leciti ex art. 101(3) TFEU, avrebbe dato all’articolo una forza politica non indifferente. Tuttavia, l’intenzione della Corte era quella di dare rilievo economico alla disposizione in questione: venne ricercata l’efficienza e non la tutela dei lavoratori. A differenza della sentenza Albany, in FNV Kunsten si verificò un confronto con il diritto antitrust e con il suo ambito di applicazione. Il diritto antitrust considera infatti i lavoratori autonomi come imprese: secondo la disciplina è “impresa” chiunque sia in grado di ledere il gioco concorrenziale

La Corte di Giustizia, al fine di tutelare i lavoratori, ha dunque creato la terza categoria dei falsi lavoratori autonomi che non sono considerabili come imprese e sono esclusi dall’ambito di applicazione della normativa antitrust. Tuttavia, questa argomentazione appiattisce il concetto di impresa alle nozioni di lavoratore autonomo e dipendente, nonostante questo prescinda dai metodi utilizzati dai giuslavoristi. Lavoratori subordinati e datori di lavoro sono visti dal diritto antitrust come un’unica unità economica perché hanno unità di interessi (corrispondente alla volontà di offrire servizi a terzi). Nondimeno, la teoria non tiene conto delle relazioni interne tra i due soggetti in questione: semplificando, non vi è unità di interessi quando datore di lavoro e lavoratore subordinato, ad esempio, negoziano lo stipendio.

Le Linee Guida della Commissione Europea

A fronte di questi problemi è intervenuta la Commissione Europea, che ha chiarito la sua posizione interpretativa con delle Linee Guida in cui riconosce che alcuni contratti collettivi sottoscritti da alcuni lavoratori autonomi sono validi in quanto volti a garantire delle condizioni di lavoro corrette e trasparenti. Sul piano giuslavoristico, viene dato rilievo al fatto che solo i contratti collettivi sottoscritti da lavoratori autonomi che contano prevalentemente sul loro lavoro e sono in una condizione simile a quella dei lavoratori subordinati sono considerati fuori dall’ambito di applicazione dell’art 101 TFEU. Rientra in questa definizione il lavoratore che: i) è economicamente dipendente, in quanto più del 50% della sua attività dipende da un unico committente; ii) che lavora side-by-side; iii) che lavora a favore di piattaforme digitali che fanno intermediazione tra servizi e consumatori (i.e. gig workers). Tuttavia, nemmeno le Linee Guida sono esenti da critiche: esse escludono gli accordi con cui i lavoratori si astengono dal rendere la prestazione per un certo tempo e per un determinato datore di lavoro (rectius: diritto allo sciopero).[4]

In conclusione, secondo la Prof.ssa Maggiolino, le Linee Guida hanno il pregio di portare ordine e coerenza nella disciplina in quanto individuano chiaramente gli accordi che non rientrano nell’ambito di applicazione della normativa antitrust. La Commissione Europea ha riconosciuto che nel mercato del lavoro non c’è unità di interessi e che di norma nella nozione di impresa non rientra lo squilibrio tipico del mercato del lavoro. È da condividere la creazione di un limite esterno, che non stravolge la nozione di impresa come avrebbe fatto un limite interno, e che è utile ai lavoratori in quanto consente che siano riconosciuti loro diritti sociali.  

 


[1] Nel caso Albany la Corte di Giustizia è stata chiamata a esprimersi circa la validità di un contratto di lavoro alla luce dell’articolo 101 del Testo sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), volto a garantire la concorrenza. 

[2] L’articolo 101 TFUE mira a tutelare la concorrenza. Al paragrafo uno dichiara nulli gli accordi volti al limitare la concorrenza, fatta eccezione per alcuni tipi enunciati al paragrafo tre. 

[3] Il caso FNV Kunsten ha riproposto la problematica evidenziata in Albany con la differenza che in questo caso il contratto collettivo di lavoro in questione era stato firmato anche da lavoratori autonomi. 

[4] La ragione è da ricondursi al fatto che in merito a questa tematica molto complessa, secondo le guidelines è necessario svolgere un’analisi caso per caso. Tuttavia, gli ordinamenti nazionali sono molto cauti nell’indagare le ragioni dello sciopero: questo gioca un ruolo molto importante nella contrattazione collettiva, essendo uno degli strumenti di protesta e contrattazione più efficaci per i lavoratori.

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