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27/03/2022

Giornata del Giurista 2023

La fedeltà alle leggi è considerata ormai da secoli come un vincolo ineludibile per il giurista, al punto tale che si tende a non concepire neppure che, al di là o al di sopra di tale limite, vi possa essere un diritto. Le leggi prevedono tuttavia norme giuridiche che, per loro natura, sono generali e astratte e sono destinate quindi a essere applicate in un “tempo ordinario”, quando le cose rientrano appunto nella norma (si dice infatti che sono “normali”).

Quando invece si verifica il caso estremo, quello dell’eccezionalità, le leggi entrano in crisi e il giurista non può più essere guidato dal rassicurante vincolo di fedeltà a ciò che è stato deciso dal potere legislativo. Le leggi mancano o entrano in conflitto con i principî del diritto. Si tratta allora di prendere una decisione concreta, con tutto il carico drammatico di responsabilità che essa comporta.

Nelle situazioni di crisi del diritto, l’appello ai principî può consentire al giurista di sottrarsi dunque al vincolo di fedeltà alle leggi? In altri termini, c’è un limite oltre il quale il giurista può (o addirittura deve) disapplicare le leggi in nome del diritto?

Questi interrogativi, i quali possono sembrare esercizi di scuola, diventano impellenti e drammatici nel momento in cui le istituzioni (nazionali e sovranazionali) si trovano a dover fronteggiare ricorrenti situazioni di crisi (da quella sanitaria alla guerra, dal terrorismo internazionale all’emergenza migratoria), in cui i presidî del positivismo giuridico si allentano, la sovranità dello Stato è inutile e i giuristi si ritrovano di fronte a tutte le loro responsabilità di interpreti del diritto.

Foto di Massimiliano Stucchi, riproduzione riservata 

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