Interviste
Venticinque Anni di Partenariato tra Africa e Unione Europea - Intervista a Domenico Rosa
Quali sono state le principali sfide e i principali successi del partenariato tra Africa e Unione Europea in questi venticinque anni?
Dal Duemila a oggi sono trascorsi venticinque anni, quindi si potrebbe parlare di “nozze d’argento” tra Africa e Unione Europea. D’altra parte, è evidente che, in questo arco temporale, il contesto sia cambiato radicalmente. Venticinque anni fa si guardava all’Africa – e soprattutto alla creazione dell’Unione Africana – con molte aspettative: c’era la speranza di riprodurre il progetto dell’Unione Europea e giungere verso qualcosa di più omogeneo e coeso. Agli inizi, l’Africa era completamente diversa dall’Europa, date le numerose dinamiche regionali e nazionali. Inoltre, l’Unione Africana partiva da una base essenzialmente intergovernativa, non c’era l’idea di delegare talune funzioni e prerogative. Il principale successo del partenariato tra Africa e Unione Europea è stato individuare soluzioni “africane” per i problemi “africani”, principalmente nel settore della pace e della sicurezza. Un esempio è la creazione, da parte dell’Unione Europea, dell’ “African Peace Facility”, che ha permesso di finanziare missioni di peace keeping in Africa condotte da Paesi africani. Un altro settore in cui si sono registrati alcuni progressi è quello dell’integrazione economica, e non solo perché l’Unione Africana è riuscita a sottoscrivere l’“African Continental Free Trade Agreement”, ma anche perché si è dato avvio a una serie di processi di integrazione delle comunità economiche regionali. Inoltre, ci sono stati una serie di tentativi di replicare progetti di successo al livello europeo in Africa, come per esempio l’“Intra-Africa Academic Mobility Scheme”, che è un copy-paste di “Erasmus Plus”.L’approccio dell’Unione Europea è comunque sempre stato multidisciplinare, al fine di dare all’Africa una certa autonomia in più settori.
Quali sono le nuove aree di cooperazione che l’Unione Europea prevede per il partenariato tra Africa e Unione Europea?
Le nuove aree di cooperazione tra Africa e Unione Europea possono essere individuate nei settori definiti come prioritari dall’“EU-Africa: Global Gateway Investment Package”, approvato al summit congiunto di febbraio 2022. Si comprendono la sostenibilità energetica, i sistemi agroindustriali, l’ambiente e la biodiversità, ma anche la scienza, la tecnologia e l’innovazione. Inoltre, si sostengono la connettività digitale e la connettività fisica, che, ancora oggi, rappresentano un ostacolo per l’integrazione economica dell’Africa. L’idea è quella di intervenire in modo tale da avere un impatto significativo, raccogliendo i principali attori del cambiamento, istituzioni e privati, intorno alle c.d. “Team Europe Initiatives”.
Qual è la visione dell’Unione Europea sul Global Gateway e quale ruolo gioca questa iniziativa nello sviluppo globale?
Il Global Gateway è un’iniziativa di respiro globale, che ha una specifica declinazione per l’Africa. Per comprendere la visione dell’Unione Europea occorre individuare il periodo storico nel quale questa iniziativa è nata. Dopo la pandemia da Covid-19 e durante il conflitto russo-ucraino, l’Unione Europea si è resa conto di non avere alcuna autonomia strategica in diversi settori (si pensi alla difficoltà di trovare mascherine all’inizio della pandemia o alla questione dell’approvvigionamento energetico durante il conflitto). In particolare, molti Paesi in via di sviluppo, tra cui l’Africa, hanno sofferto la mancanza di cereali, data dall’interruzione del corridoio di trasporto che parte dall’Ucraina. Il Global Gateway nasce proprio in questo contesto, con l’obiettivo di assicurare all’Unione Europea una certa autonomia strategica nel caso di crisi globali future. In primo luogo, l’Unione Europea può essere strategicamente autonoma nella misura in cui i suoi principali partner sono strategicamente autonomi. Per esempio, se l’Africa venisse colpita da una grave crisi genererebbe ingenti flussi migratori, che metterebbero in pericolo le frontiere dei Paesi europei. I settori in cui la dimensione esterna è più influente sono molteplici. Un esempio è quello del “Green Deal”. L’Unione Europea non ha possibilità di perseguire gli obiettivi stabiliti dall’accordo di Parigi se gli altri Paesi non fanno lo stesso. Tuttavia, si ravvisa una convergenza di interessi con l’Africa, in quanto, da un lato, i Paesi africani hanno un importante deficit energetico ma, dall’altro, sono tra quelli più ricchi di energie rinnovabili. Un ulteriore esempio è quello del digital, in cui è evidente l’influenza cinese di Huawei. Ciononostante, è un’esigenza comune quella di creare una società digitale non manipolata e affidabile. I vaccini sono stati oggetto di controversia tra Africa e Unione Europea. In un primo momento, non erano disponibili. Successivamente, l’Africa aveva accusato l’Unione Europea di non volerli condividere. In realtà, i vaccini erano disponibili, ma i Paesi africani non erano muniti di infrastrutture in grado di dare avvio a una vera e propria campagna vaccinale. A questo proposito, si noti la “Team Europe Initiative on Manufacturing and access to vaccine”, che, in tempi record, ha contribuito alla produzione di vaccini in Ruanda, Sud Africa, Ghana e Senegal. L’idea è ancora una volta quella di rendere l’Africa più indipendente.
Quali sono le principali differenze tra il Global Gateway e altre iniziative, come la Belt and Road Initiative cinese?
Riguardo alla Belt and Road Initiative, è evidente che si tratti di un’iniziativa che mira ad assicurare alla Cina l’accesso a una serie di risorse di cui l’Africa è ricca. Di fatto, si concede il primato alla sostenibilità del sistema economico cinese. Spesso, i media definiscono il Global Gateway come la risposta dell’Unione Europea alla Belt and Road Initiative. Tuttavia, è preferibile essere più cauti, in quanto nel Global Gateway si ravvisa una convergenza di interessi: da un lato, vi è la sostenibilità del sistema economico europeo e, dall’altro, vi è lo sviluppo delle comunità africane. L’istituzione di campagne vaccinali e la creazione di catene di valore al livello locale ne sono degli esempi. Ciononostante, non si può dire che l’Africa non eserciti una forte attrattiva sull’Unione Europea, date le sue numerose risorse, il problema demografico e soprattutto la prospettiva futura che diventi uno dei continenti con la classe media più grande al mondo. Infatti, la classe media è quella che consuma maggiormente e attrae più investimenti. La principale differenza tra la Belt and Road Initiative e il Global Gateway risiede dunque negli scopi perseguiti: la Cina ha un progetto più “imperialista”, mentre nell’Unione Europea vi è una maggiore concordanza con gli interessi dell’Africa.
La Belt and Road Initiative cinese è stata spesso criticata per il rischio di debt-trap democracy, ovvero la concessione a Paesi in via di sviluppo di ingenti somme di denaro a titolo di prestito, che faticano a restituire e dunque sono costretti a cedere infrastrutture strategiche. Si pensi alla questione del porto di Hambantota in Sri Lanka.
Come l’Unione Europea offre alternative finanziarie più sostenibili attraverso il Global Gateway?
Inoltre, quali strumenti vengono utilizzati per evitare che i Paesi africani si indebitino eccessivamente?
È evidente che, per molto tempo, la Cina sia stata il principale lender a livello mondiale. Sono noti i casi di Zambia ed Etiopia, Paesi che sono andati in default perché non sono stati in grado di ripagare il debito contratto con la Cina. In questo momento, si può dire che il Club di Parigi non possa promuovere alcuna iniziativa senza far sedere al tavolo la Cina. Tuttavia, la Cina ha un funzionamento interno molto diverso dall’Unione Europea: vi è una catena di comando ben definita e un sistema economico fortemente influenzato dal potere politico. Il Global Gateway offre un’alternativa finanziaria più sostenibile; l’obiettivo è quello di evitare crisi del debito a lungo termine. A tal proposito, l’Unione Europea propone hard instruments aventi soltanto una parte sottoposta a condizione. Per esempio, il c.d. “blending”mette insieme prestiti e doni. Al fine di ridurre i costi specifici degli investimenti, i doni riguardano per lo più gli studi di fattibilità e le misure complementari, garantendo così l’avvio dei progetti. Inoltre, in alcuni Paesi più fragili ed esposti a crisi future si effettuano investimenti soltanto a mezzo di doni.Un altro aspetto significativo consiste nella riduzione del costo del credito: l’Unione Europea, attraverso lo “European Fund for Sustainable Development Plus”, tenta di ridurre il rischio su determinati investimenti fornendo un apposito sistema di garanzie. Da un lato, si favoriscono gli investimenti in aree che il mercato non vede di buon occhio, in quanto ritenute molto rischiose, e, dall’altro, si riducono i costi degli investimenti, data l’assunzione di una parte dei rischi in capo all’Unione Europea. L’Unione Europea, a differenza della Cina, fa anche uso di soft instruments, volti principalmente a dare un supporto in termini di governance. Si va dagli investimenti nel settore dell’energia e dei trasporti alla manutenzione delle strade e degli impianti di produzione elettrica.
Il Piano Mattei è stato spesso presentato come un ponte tra Europa e Africa. Quali sono le principali sinergie tra il Piano Mattei e le iniziative della Commissione Europea?
Il Piano Mattei è stato lanciato nel 2023. Il 28 marzo, l’Italia ha in programma un summit con i Paesi indicati nel Piano Mattei. Il rapporto che intercorre tra il Piano Mattei e il Global Gateway è caratterizzato da numerose analogie, e per certi versi il Piano Mattei si sovrappone al Global Gateway. Tuttavia, il Global Gateway si differenzia dal Piano Mattei per il fatto di avere una dimensione più ampia, visto che l’obiettivo è quello di inquadrare in un unico progetto i singoli Stati Membri. In questa direzione prendono piede le “Team European Initiatives” e i “Global Gateway Flagship Projects”. Vi è una vera e propria convergenza di interessi. Tra il Piano Mattei e il Global Gateway si ravvisano notevoli sinergie: l’Italia, partecipando a “Team European Initiatives”, prende parte in modo coerente e adeguato al progetto europeo. Tuttavia, resta ferma la possibilità di lavorare parallelamente per perseguire gli obietti prefissati.
Qual è la visione dell’Unione Europea sul ruolo dell’Italia nell’ambito del partenariato tra Africa e Unione Europea?
L’opinione dell’Unione Europea sul Piano Mattei è molto positiva, anzi l’ideale sarebbe che ogni Stato Membro avesse un proprio Piano Mattei. Tuttavia, è evidente che il Piano Mattei si riferisca anche a questioni che interessano specificamente l’Italia, come per esempio i flussi migratori. Di recente, è stata effettuata un’analisi comparata del Piano Mattei e del Global Gateway, che ha dato prova di numerose somiglianze e convergenze. Tornando al partenariato tra Africa e Unione Europea, si evidenzia che uno degli errori più significativi che è stato commesso è quello di caricare l’Unione Africana di una serie di responsabilità per le quali non è effettivamente preparata. Risulta più efficiente promuovere strategie d’insieme declinate a livello dei singoli Paesi. Il Piano Mattei, identificando una serie di Paesi prioritari di intervento, va certamente in questa direzione.
In molti Paesi africani, la mancanza di una chiara regolamentazione sulla proprietà terriera e la coesistenza di norme di legge e consuetudini facilitano l’acquisizione di terreni da parte di attori privati, spesso a discapito delle comunità locali.
L’Unione Europea può prevenire il Land Grabbing da parte delle multinazionali europee? Se sì, quali meccanismi di controllo vengono applicati?
In tema di Land Grabbing, l’Unione Europea non prevede alcuna regolamentazione specifica. Tuttavia, le misure adottate a livello interno possono limitare le attività delle imprese di origine europea nel contesto africano. Si tratta di soft powersche influenzano anche le imprese americane e cinesi che interagiscono con l’Unione Europea. In generale, la regolamentazione è caratterizzata da una contraddizione intrinseca che vede, da un lato, l’esigenza di permettere all’economia europea di essere competitiva rispetto alle altre economie e, dall’altro, l’obiettivo di armonizzare le politiche dei singoli Stati membri con quella europea. A dimostrazione dell’influenza della regolamentazione europea si può riportare l’esempio dei “Critical materials”. È infatti previsto l’obbligo di dare alle comunità locali il 20% del valore delle risorse sottratte. Si noti che questa pratica non è contemplata da Cina, America, Canada e Australia. Inoltre, è stata introdotta un’apposita regolamentazione sulla “Deforestation”, la quale è stata posticipata di anno dietro domanda di alcuni Paesi in via di sviluppo, che non erano ancora pronti a darvi attuazione. Ulteriori iniziative sono quella del cacao sostenibile, che favorisce i piccoli produttori che osservano la regolamentazione europea, e quella del “Carbon Market Mechanism”, che mira a evitare il dumping sull’emissione di carbonio circa i prodotti venduti nel mercato europeo. In definitiva, l’unico modo che l’Unione Europea ha per evitare pratiche scorrette nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, compresa l’Africa, è introdurre vincoli al mercato interno che si riflettano sul mercato esterno, con la cautela di rispettare le regole imposte dal WTO e non pregiudicare la competitività delle imprese, che, come risulta dal Report Draghi, stanno attraversando un momento di difficoltà.
Partecipanti
Carlotta Caromani
Martina Laface