Bocconi Knowledge

08/04/2024 Martina Laface, Ilaria De Francesco

60 Anni di Magistratura Femminile

Dalla L. 9 febbraio 1963, n. 66, traiettorie di giustizia e parità

Il 20 febbraio 2024 la School of Law ha ospitato un incontro sulla nascita ed evoluzione della magistratura femminile dall’entrata in vigore della legge 9 febbraio 1963 n. 66, grazie alla voce di figure femminili di spicco che hanno vissuto in prima persona il lungo e complesso cammino verso l’uguaglianza.

Il contesto storico e l’evoluzione legislativa 

La conferenza si è aperta con una breve introduzione presentata dalla Professoressa e Presidente Emerita della Corte Costituzionale Marta Cartabia, la quale ha evidenziato il divario temporale tra la data di entrata in vigore della Costituzione e l’ingresso delle donne in magistratura.

Si nota fin dall’origine un elemento di discrepanza: la Costituzione sancisce l’uguaglianza all’articolo 3, nonché il suo corollario che vieta espressamente la discriminazione sulla base del sesso, e all’articolo 51 stabilisce il libero accesso ai pubblici uffici. Tuttavia, il concorso di Magistratura aprirà alle donne solo nel 1963, ben 15 anni dopo rispetto all’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana.

Occorre, dunque, interrogarsi sulle ragioni che hanno portato a un tale ritardo: non si può cadere nell’erronea convinzione che fosse dovuto a una semplice inerzia delle istituzioni, ma il motivo risiede in quelle radicate concezioni culturali dell’Italia degli anni 50’ che ritenevano la natura femminile incompatibile con la funzione giudicante. 

Tale pregiudizio si evince già dal dibattito dell’Assemblea Costituente del 1946, sede in cui venne proposto di inserire l’inciso «in condizioni di eguaglianza, conformemente alle loro attitudini» all’interno dell’attuale articolo 51 comma 1 della Costituzione. Grazie alle proteste di quelle poche donne che avevano l'onore di sedere in Assemblea e che lottarono tenacemente per evitare l’introduzione degli stereotipi di genere nel testo costituzionale, l’inciso non venne inserito nella disposizione. Infatti, il riferimento alle “attitudini femminili” avrebbe precluso loro la possibilità di accedere agli uffici pubblici, in quanto ritenute inidonee a svolgere determinati incarichi per il mero fatto di essere donne.

Sebbene il testo costituzionale sancisse l’uguaglianza formale tra sessi, e nonostante la tenace lotta delle madri costituenti, l’articolo 51 comma 1 della Costituzione richiedeva per l’accesso ai pubblici uffici il rispetto dei requisiti stabiliti dalla legge e, de facto, era ancora in vigore l’art. 7 della l. 17 luglio 1919 n. 1176, che escludevaespressamente le donne dall’esercizio della giurisdizione: urgeva, quindi, un necessario intervento del legislatore affinché eliminasse tale antinomia nel rispetto del principio di uguaglianza.

La spinta normativa all’introduzione della legge del 1963 arrivò da un caso che qualche anno prima era giunto dinnanzi alla Corte Costituzionale: Rosa Olivia, assistita dal professore e costituzionalista Costantino Mortati, si iscrisse a un concorso per la carriera prefettizia con un chiaro intento provocatorio al fine di avviare una battaglia giuridica. È interessante notare che il pregiudizio sul sesso femminile fosse così insito nella mentalità del tempo che l’impostazione giuridica che lo stesso Mortati aveva portato dinnanzi alla Corte Costituzionale non era incentrata sul macro-problema della disuguaglianza, ma piuttosto su aspetti tecnici e strutturali. Fu, invece, la Corte Costituzionale a ribaltare l’argomentazione: si aprì da quel momento la strada al cambiamento, quale frutto della sinergia tra accademia, Corte Costituzionale e legislatore, che porterà all’entrata in vigore della l. 9 febbraio 1963 n.66, rubricata: “Ammissione della donna ai pubblici uffici e professioni”.

Le testimonianze 

La conferenza è proseguita con l’intervento di Margherita Cassano, prima Presidente della Corte Suprema di Cassazione, la quale ha riportato la propria esperienza nel suo illustre percorso professionale nel campo giudiziario, fornendo grandi spunti di riflessione sul ruolo odierno della donna in magistratura.

Margherita Cassano inizia la propria carriera nel 1980, in piena stagione di terrorismo italiano e in qualità di Pubblico ministero. Essendo stata catapultata dal mondo degli studi a quello reale, si rende subito conto di essere ancora impreparata a conoscere la realtà per come si atteggia in concreto. Questa esperienza le servirà quale palestra di crescita umana fondamentale, che la segnerà per tutta la vita: entrare in contatto con le peggiori sofferenze del mondo e saper cogliere l’animo delle persone ribalterà completamente le sue prospettive. 

Nel 1998 viene eletta al Consiglio Superiore della Magistratura, dove svolgerà vari incarichi sino al 2002. Nel 2006 diviene consigliera presso la Suprema Corte, nel 2016 presidente della Corte d’Appello e, infine, il 6 marzo 2023 viene nominata prima Presidente della Corte di Cassazione, divenendo così la prima donna a ricoprire tale incarico. 

La relatrice ha ricordato le argomentazioni contrarie all’introduzione della legge del 1963 emerse durante il dibattito parlamentale: da un lato, si evinceva un atteggiamento paternalistico che voleva tutelare la donna dagli eventi drammatici della vita in quanto essere “sublime e delicato”; d’altro canto si faceva leva su una visione di tipo biologico per cui le caratteristiche fisiche della donna non le avrebbero consentito l’esercizio del raziocinio, il che avrebbe esposto i cittadini al rischio di decisioni basate più sull’emotività femminile che sul sillogismo tipico del ragionamento giuridico.

È opportuno preservare la memoria di tale dibattito come incentivo alla riflessione sull'effettivo superamento di radicati stereotipi di genere, dinnanzi alla presenza di numerosi eventi che ancora oggi vedono la donna come oggetto di possesso. 

Inoltre, riflettere sul senso della presenza delle donne in magistratura vuol dire anche riflettere sul significato dello stato di diritto, che vive e si alimenta della presenza armoniosa di uomini e donne, ciascuno dei quali abbia coraggio e volontà di essere sé stesso nelle relazioni con gli altri. 

L’invito alle donne è quello di non adottare consapevolmente o inconsapevolmente modelli maschili per essere accettate perché è proprio nella diversità che risiede la ricchezza della democrazia.

La seconda protagonista dell’incontro è Gabriella Luccioli, una delle otto pioniere della magistratura che hanno vissuto in prima persona l’ingresso delle donne nell’organo giurisdizionale, vincendo il primo concorso del 1965. 

Dopo aver svolto le funzioni di giudice presso il Tribunale di Montepulciano, di pretore a Roma e di consigliera presso la Corte d’Appello di Roma, nel 1990 diviene la prima donna ad essere nominata consigliera della Corte di Cassazione, nel 2008 la prima donna Presidente di sezione, e ancora per la prima volta per una donna, nel 2011 assume la direzione di detta sezione.

La sua testimonianza mostra come il cammino verso la parità di genere sia stato rallentato non tanto da una situazione di ostilità palese, quanto, piuttosto, da un pregiudizio e da una discriminazione indiretta: le magistrate dei primi concorsi hanno dovuto lavorare e adattarsi ad ambienti maschili e paternalistici, in cui regnava una malcelata diffidenza nei confronti delle donne, costrette, dunque, a lottare quotidianamente per dimostrare la meritevolezza dell’incarico ricoperto. 

Con l’acquisizione di una certa consapevolezza si rende conto che in quell’ambiente dominato dalla figura maschile non avrebbe dovuto omologarsi, ma ricercare un nuovo modello di giudice che riflettesse e non negasse il suo essere donna, che portasse avanti la voce e la sensibilità femminile, facendone un quid pluris.

Da non sottovalutare è il ruolo della differenza: vi è bisogno di cultura femminile, dell’altra intelligenza che non si contrappone a quella maschile, ma la completa in un’ottica di arricchimento reciproco. 

Dall’anno 1965, quando le otto pioniere vincitrici del concorso hanno scardinato la porta per l’accesso delle donne in magistratura, tanta strada è stata percorsa, ma il cammino è ancora lungo. La magistratura si è progressivamente femminilizzata, con un numero crescente di donne vincitrici dei concorsi, ma la percentuale che ricopre funzioni direttive rimane ancora modesta, rappresentando appena il 20%. Inoltre, numerose sentenze della Corte Europea continuano a sanzionare l’Italia per i pregiudizi in materia di violenza di genere che emergono dalle motivazioni delle sentenze italiane. 

Dunque, l’invito è quello di tenere a mente che si deve ancora lottare per portare avanti la battaglia verso l’uguaglianza, sulla scia delle nostre madri costituenti e delle otto coraggiose pioniere della magistratura italiana.

L'ultima voce è stata quella di Eliana di Caro, giornalista de il Sole 24 Ore e autrice del libro Magistrate Finalmente, un’opera in cui affonda lo sguardo proprio nella storia delle otto vincitrici del primo concorso di magistratura, che si misero in gioco sfidando il pregiudizio maschilista fortemente radicato in ambito giudiziario: Graziana Calcagno, Emilia Capelli, Raffaella d’Antonio, Giulia De Marco, Letizia De Martino, Annunziata Izzo, Ada Lepore, Gabriella Luccioli.

L’autrice, in primis, fa leva sul dibattito che si svolse in Assemblea Costituente concernente l’ingresso delle donne in magistratura, evidenziando il tenore delle diverse argomentazioni, certamente sorprendente agli occhi di un lettore dei giorni nostri. Emerge infatti una grande contraddizione, poiché gli stessi padri costituenti, che avevano fornito il proprio contributo per la creazione dei valori della Repubblica Italiana, sconfessavano in quel momento il principio di uguaglianza.

Inoltre, le vincitrici del concorso operavano in un’Italia molto diversa da quella di oggi, tenute ad applicare codici le cui norme erano improntate sul pregiudizio paternalista. Basti pensare che l’adulterio da parte della donna era ancora un reato e che non esisteva alcuna legge sul divorzio né sull’aborto; per questa ragione, le magistrate seguirono l’evoluzione del paese, alla quale parteciparono in prima persona interpretando le norme nell’esercizio delle loro funzioni e aprendo la strada al cambiamento.

In conclusione, le testimonianze delle tre protagoniste dell'incontro convergono su un tema centrale: la persistente lotta delle donne per dimostrare il proprio valore, una battaglia che perdura tutt’oggi e dalla quale gli uomini sono spesso dispensati.

L'invito alle giovani donne e alle future lavoratrici è quello di perseverare in questo lungo percorso verso l'eliminazione di ogni forma di lesione del principio di uguaglianza, sia a livello formale che sostanziale. Accanto ai progressi già compiuti, occorre ancora un impegno significativo sul fronte giuridico e sociale per porre fine alla disparità salariale, e a ogni altra forma di discriminazione basata sul genere.

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