Bocconi Knowledge

04/04/2023 Marco Alibrando, Silvia Dalla Quercia, Giorgio Hassan, Lucrezia Villa

Il Mercato Italiano dei Capitali: Quale Futuro?

Il 4 aprile 2023 il Dipartimento di Studi Giuridici Angelo Sraffa ha ospitato un convegno in cui Professori e rappresentanti delle più importanti istituzioni nazionali e sovranazionali hanno offerto un’analisi a più voci del presente e del futuro del mercato italiano dei capitali.

Nei saluti di apertura, il Rettore dell’Università Bocconi Francesco Billari ha esordito con una riflessione sul tema dell'educazione finanziaria, sottolineando l’importanza che tutti gli italiani diventino partecipi e abbiano una conoscenza minima sul tema, sotto il duplice profilo economico e giuridico. Successivamente, il Rettore ha invitato a riflettere sul fenomeno della fuga del “talento” dalle grandi aziende: con un’efficace comparazione, ha ritrovato una somiglianza tra il fenomeno della migrazione dalla borsa italiana e quello ormai noto della fuga dei cervelli. L’Italia, infatti, non ha solo un problema di democrazia finanziaria, ma anche di demografia finanziaria

A seguire l’intervento del Prof. Cesare Cavallini, Direttore del Dipartimento di Studi Giuridici, il quale ha definito il tema dei mercati dei capitali in senso lato un tema “bocconiano”. Difatti, tutte le tematiche che hanno un aspetto scientifico primario e un impatto nella realtà esterna naturale e che sono legate al mondo del mercato e dell’impresa, qualificano l’Università ma anche l’essenza e la nascita del Dipartimento di Studi Giuridici Angelo Sraffa. Queste tematiche da un lato hanno consentito e consentono l’apertura internazionale degli Studi Giuridici e, dall’altro, incentivano una più recente interdisciplinarità con studiosi provenienti da altri settori. 

Il crollo della capitalizzazione del mercato italiano

Ha preso in seguito la parola il Prof. Em. Piergaetano Marchetti per una riflessione introduttiva sul tema della giornata. Dopo aver ricordato che l’Università Bocconi è stato il primo centro in Italia a studiare a livello internazionale il mercato dei capitali, ha proposto di affrontare il vasto tema dei mercati dei capitali sia nella sua macro-dimensione (da intendersi come investimento nel mercato e nello sviluppo delle piccole medie aziende, mediante supporti finanziari e tributari), sia nella sua dimensione di dettaglio (a livello regolamentare e di vigilanza). Il tema necessita di una riflessione attenta in particolare circa la funzionalità e l’efficacia degli strumenti ad oggi presenti. In effetti, i dati degli ultimi anni relativi al mercato italiano dei capitali mostrano in chiara luce il fatto che il mercato abbia visto fortemente calare il numero delle società quotate; si può quindi parlare di un vero e proprio crollo di capitalizzazione del mercato, che pone l’Italia al di sotto delle medie dei Paesi UE.[1] Escluso il periodo degli anni Novanta, durante gli anni che hanno preceduto la crisi dei mutui subprime e la crisi pandemica, il mercato italiano ha assisto all’uscita dal mercato dei capitali di molte società, la quale però non è stata compensata da nuove entrate. Questa realtà è stata accompagnata da due fenomeni che affliggono il mercato italiano, quello del delisting e del forum shopping. Nella pratica questi fenomeni si sono presentati in tre modalità: 

(i) vi sono state società italiane che hanno trasferito la sede all’estero quotandosi anche nei rispettivi mercati, con l’effetto di non essere più assoggettate alla regolamentazione italiana; 

(ii) alcune società italiane si sono quotate in altri mercati esteri continuando ad essere società italiane;

(iii) vi sono infine casi di società estere che si sono quotate nel mercato italiano, ma che non sono assoggettate alla disciplina italiana e al codice di Corporate Governance.

Il rapporto OCSE sullo stato delle società europee nel triennio 2018-2020 mostra un evidente declino della capitalizzazione nei mercati delle società, che da 248 alla fine del 2013 sono passate a 210 nel 2022; in tutti gli anni lo scarto è stato negativo, ad eccezione degli anni 2017 e 2018. Negli ultimi 10 anni la capitalizzazione delle società che hanno fatto il delisting vale circa 110 miliardi, mentre la capitalizzazione delle nuove società che si sono quotate vale 60 miliardi, con uno scarto di 50 miliardi. Il ruolo delle società italiane sugli indici internazionali è marginale, con un evidente effetto penalizzante sulle imprese italiane. 

Conclusa la panoramica della situazione del mercato italiano dei capitali, il Prof. Marchetti ha posto la seguente questione: “è corretto riconoscere la sola primazia dei mercati regolamentati, presupponendo che gli altri, alternativi, siano davvero non regolamentati?”. In effetti, questa prospettiva distoglie l’attenzione da quei mercati che ad oggi, pur ottenendo il favore delle PMI, rimangono in secondo piano. Si tratta di un tema, quello dello “scalino dei mercati”, che necessita di maggior considerazione da parte del legislatore. 

Una nuova figura di investitore 

Un ulteriore problema che si pone con riferimento al panorama italiano è la presenza di imprese grandi e solide, leader mondali nella produzione di alcuni prodotti, che hanno scelto di non quotarsi, nonostante la competizione internazionale le avrebbe dovute spingere in tale direzione. Per converso, negli ultimi anni si è assistito all’aumento degli investitori italiani, che dall’8% sono passati al 10%. Si tratta di un dato interessante nel panorama degli investimenti, che però deve essere analizzato correttamente: questi investitori infatti, a differenza del passato, non hanno una propensione individuale a curare l’investimento. Si potrebbe valutare pertanto la possibilità di creare un nuovo tipo di investitore collettivo di matrice italiana. Questa figura dovrebbe, da un lato, aumentare la fiducia degli investitori con l’obbiettivo di farne confluire i capitali verso le PMI e, dall’altro, far percepire alle imprese di essere loro vicine, più di quanto lo sarebbe un investitore istituzionale, affinché queste poi si avvicinino al mercato dei capitali. Alla luce di queste considerazioni, appare quindi prioritario introdurre nel mercato italiano intermediari finanziari adeguati e specialmente una legislazione che non sia di over protection per permettere e favorire la crescita dell’equity.  

Il Prof. Marchetti, da ultimo, ha ricordato che il fenomeno del delisting è diffuso e sta colpendo tutti i mercati, non solo quello italiano, ed è sorretto da ragioni macroeconomiche. In Italia, tuttavia, il fenomeno è sproporzionatamente accentuato, per cui devono adottarsi correttivi diversi, non trovandosi il nostro paese meramente “sull’onda generale”. 

In conclusione, diventa necessario fare delle scelte. In particolare, è necessaria una regolamentazione che modifichi le norme sui mercati, sulla base di un intervento congiunto con l’Unione Europea. Bisogna, infatti, avere consapevolezza della situazione in cui il mercato italiano si trova e individuare la strada che consenta da una parte di armonizzare la disciplina interna con quella comunitaria (requisito essenziale al fine di costituire un mercato unico) e dall’altra di non mortificare la specificità dell’ordinamento italiano. Questi temi finiscono inevitabilmente per sollevare la questione della concorrenza regolamentare tra gli ordinamenti. Si tratta di un problema politico importante, rispetto al quale sorgono due alternative possibili: prevedere una gara regolamentare oppure porre un limite alla competizione laddove questa diventi lesiva. È necessario quindi che il regolatore/legislatore individui il giusto bilanciamento. L’Italia ha già dato prova di avere la volontà di riformarsi, ma la riforma deve partorire risultati concreti.

Facendo seguito agli interventi introduttivi, si è svolta la prima sessione vertente sullo sviluppo del mercato dei capitali e la crescita economica, con specifico riferimento al rapporto EC/OCSE 2020 e al Green Book 2022 presentato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF). Relatori sono stati i Proff. Carmine di Noia (OCSE) e Cristina Finocchi Mahne (Università Cattolica del Sacro Cuore) assieme a Federico Freni (MEF) e Mario Nava (Commissione Europea). 

Il Dott. Nava ha anzitutto enfatizzato la necessità di affrontare la problematica della fuga dal mercato dei capitali sotto una duplice prospettiva: di respiro “macroeconomico” da un lato; orientata a riequilibrare il rapporto tra regolamentazione, vigilanza e stakeholders istituzionali dall’altro. La ripresa economica europea all’indomani della pandemia, accompagnata dal meccanismo di finanziamento del “Next Generation EU” rappresentano alcuni dei presupposti da cui ripartire per un più efficiente rapporto tra finanziamenti pubblici e investimenti privati. 

Il bisogno di una maggior armonizzazione regolamentare 

Il Prof. Carmine Di Noia, riprendendo il rapporto OCSE sullo stato delle società europee nel triennio 2018-2020[2], ha quindi evidenziato il trend positivo nel rapporto tra cd. “zombie firms” e società ad alto valore aggiunto nel nostro paese, specie in rapporto alle grandi nazioni europee. Avuto coscienza di tale miglioramento parrebbe quindi opportuno conformare i nuovi flussi di armonizzazione del diritto societario e dei sistemi finanziari integrati alle “Key Reccomendations” dell’OCSE. Tra l’altro, nel rapporto tra diritto interno e [armonizzazione del] diritto comunitario, il Prof. Di Noia ha rimarcato la “rigidità” che affligge, tra l’altro, la disciplina del Codice di Corporate Governance e l’obbligo di non concorrenza (cd. “cooling off”) posto in capo ai dirigenti delle grandi imprese. Tale rapporto di tensione deve essere proiettato, con sguardo “al di fuori” della stessa prospettiva europea, allo sviluppo di una disciplina legislativa e regolatoria più attrattiva e di respiro internazionale.

Il Dott. Freni ha sottolineato la difficoltà di armonizzare i mercati europei in ragione dello iato normativo che distanzia gli Stati Membri. Segue, in questa prospettiva, la necessità di guardare la sfida della regolamentazione “dall’interno”, in modo da rinvigorire il mercato nazionale dei capitali a partire dalla ridefinizione delle procedure e della disciplina interna nell’ottica del recepimento della disciplina comunitaria sugli strumenti finanziari

A tal riguardo, diviene prioritario formare i professionisti e gli investitori nel mercato “di domani”, in linea con il corrente obiettivo del MEF, condiviso con il Ministero dell’Istruzione e del Merito, di inserire l’educazione finanziaria tra gli insegnamenti obbligatori già nella scuola dell’obbligo. Operatività, efficacia, efficienza, rapidità d’esecuzione: questi sono gli standard che devono orientare il legislatore nella regolamentazione della materia e che hanno caratterizzato la redazione del più recente disegno di legge in materia.

Possibili incentivi ad investire nel mercato italiano 

La Prof.ssa Finocchi Mahne ha da parte sua ribadito la necessità di ridefinire i caratteri della regolamentazione [interna] senza incappare in fuorvianti prospettive di crescita economica deregolata, ma piuttosto avendo presente la sua funzionalità per uno sviluppo sostenibile e responsabile del mercato.

Su queste basi, la Prof.ssa Finocchi Mahne ha ripreso il confronto tra il fenomeno della cd. “great resignation” con il problema, così definito dal Rettore Billari, della “demografia finanziaria” che affligge il mercato finanziario interno. A suo avviso ciò è dovuto anche all’assenza di un purpose che spinga le aziende a fare ragionamenti non solo orientati al valore economico della capitalizzazione ma che richiami, in aggiunta, il “senso dell’appartenenza” al Paese d’origine e, quindi, al suo mercato. Un purpose che attualmente manca e che dovrebbe orientare in futuro la scelta del regolatore e la spinta verso il progresso, latamente inteso. Un primo auspicabile investimento per contrastare il diffusissimo ricorso al delisting dai mercati nazionali potrebbe essere un investimento nell’etica della sostenibilità e della trasparenza dei mercati, nell’implicito assunto che la fuga dalla capitalizzazione sia anche una fuga dagli obblighi regolatori e di trasparenza richiesti dal mercato.

Nel valutare gli esiti degli investimenti comunitari nei paesi europei in ambito finanziario, il Dott. Nava ha inoltre osservato che non solo la regolamentazione, ma anche altri fattori incidono sui ritorni di tali investimenti. Tra questi: il business environment del Paese membro; l’eccessivo ricorso alle sanzioni, determinato da una disciplina poco chiara ed eccessivamente repressiva (cd. “sanzionificio”); il mancato (rectius, auspicato) sviluppo di meccanismi di vigilanza assai più efficienti in un mercato sempre più integrato; l’orientamento alla responsabilità e alla sostenibilità.

Il Dott. Freni ha infine analizzato, con sguardo critico, la ripresa della domanda interna per l’acquisto di titoli di Stato, pur in un quadro di progressiva diminuzione degli investimenti in economia reale. Da una parte, il vigore della domanda interna per Btp non può supplire alla “copertura” della Banca Centrale Europea: il passaggio da una politica di “Quantitative Easing” a una di “Quantitative tightening” da parte della BCE desta quindi grande preoccupazione a prescindere dallo stato della domanda interna.[3] D’altra parte, l’abbassamento del livello di investimenti in economia reale accentua la necessità di concepire “veicoli” e “propulsivi” statali per invertire il trend degli ultimi anni. 

L’apertura al mercato è, specie in tempi di crisi, elemento cruciale: in questo senso, un eccesso regolatorio può precludere tale accesso. Con queste premesse, il Prof. Di Noia e il Dott. Nava hanno concluso il panel richiamando le più efficaci riforme in materia di mercati finanziari: lo strumento dei piani individuali di risparmio (PIR);[4] la riforma della disciplina di Corporate Governance; infine, in prospettiva, le iniziative degli Stati per rispondere alla necessità di diversificare gli investimenti e di ricorso alla capitalizzazione.

La seconda sessione è stata dedicata al tema dell’efficacia della supervisione finanziaria e a un’analisi del 2022 come l’anno del grande re/delisting. Hanno preso parte alla tavola rotonda Paolo Savona (Consob), Adriana Pierelli (BNY Mellon), Fabrizio Testa (Borsa Italiana), Marcello Bianchi (Assonime) e il Prof. Marco Ventoruzzo (Università Bocconi).

Sul tema della minor attrattività della piazza italiana rispetto alle altre, è intervenuto Fabrizio Testa, amministratore delegato di Borsa Italiana. In particolare, il re/delisting può essere il risultato di una serie di fattori. Può conseguire infatti ad una scelta strategica, poiché la società a un certo punto della crescita non trova più stimoli per rimanere in borsa, oppure essere determinato dalla differenza dei costi di vigilanza rispetto ad altre giurisdizioni. A questi fattori si aggiunge il tema dell’orgoglio di appartenenza al paese. A tal riguardo, il Dott. Testa ha sostenuto che molti si quotino perché credono di contribuire alla crescita del paese, mentre altri imprenditori hanno una maggiore propensione verso l’estero. Nel complesso, parrebbero opportune quattro modifiche fiscali per incentivare le quotazioni in borsa: 

i) deduzione fiscale per i costi della quotazione; 

ii) agevolazioni fiscali per i manager che concludono la quotazione; 

iii) introduzione del credito d’imposta per spese legate alla quotazione di piccole e medie imprese (PMI); 

iv) proroga del credito d’imposta per i Piani Individuali di Risparmio (PIR) alternativi.

Il successo del mercato americano

La Dott.ssa Pierelli ha svolto in seguito una breve considerazione sui motivi che fondano l’attrattività del mercato americano sotto tre differenti punti di vista: quello di chi investe, di chi “guarda” gli investimenti altrui e di chi decide di fare una seconda quotazione nel mercato americano.Alcuni dei principali fattori di successo sono la liquidità, una più efficiente gestione del rischio – motivo principale alla base del trasferimento di numerose società tech – e la capacità di creare un ecosistema (essendoci più aziende dello stesso settore gli investitori possono confrontarle). Anche l’oversight della Securities and Exchange Commission (SEC) è un elemento positivo, ma tuttavia non così rilevante come i tre precedenti. 

La doppia quotazione – che rimane ancora una scelta importante e sensata, dato che non tutti gli investitori americani possono acquistare azioni estere direttamente in dollari – è molte volte giustificata dal fatto che le società hanno un cash flow in dollari, vendono i loro prodotti o servizi negli USA e vogliono quindi essere visibili in quel mercato perché le aiuta dal punto di vista delle vendite, oppure perché la quotazione è propedeutica a future acquisizioni negli USA.

Il sottosviluppo del mercato di capitali italiano

Il Dott. Bianchi ha analizzato i rischi di avere un mercato piccolo, come è quello italiano, con riferimento al fenomeno del re/delisting. Questo fenomeno non riguarda solo l’Italia, ma tutti i mercati sviluppati, a eccezione dell’Asia. 

Essendo la crisi del delisting assai rilevante in questi mercati, vengono pertanto attuati dei meccanismi di aggiustamento. Se il mercato è sviluppato, allora il riequilibrio tra le sue componenti fa sì che si raggiunga un equilibrio complessivo, mentre se il mercato è sottosviluppato gli squilibri possono diventare sostanziali. Il problema del sottosviluppo del mercato di capitali italiano è centrale e ha delle radici molto profonde. Considerando il peso degli indici azionari, le società italiane pesano nell’indice europeo principale per il 3%, mentre l’economia italiana pesa nel PIL di quegli stessi paesi per il 10%, secondo un rapporto di 1 a 3. Diversamente, le imprese francesi pesano nell’indice il 17%, ma il peso dell’economia francese nel PIL complessivo è del 15%. In Italia quindi, quando gli investimenti seguono gli indici, il sottosviluppo tende ad amplificarsi. A ciò si cumula la poca capacità di supportare la crescita che in questo momento rischia di essere un fattore degenerativo. La competizione globale, sempre più feroce, unita all’incapacità di cogliere le opportunità di crescita, causa una marginalizzazione delle società italiane, che rischiano di chiudere o essere acquisite. 

Le cause del sottosviluppo del mercato di capitali italiano sono quindi strutturali, dovute sia alla difficoltà di trasformare il risparmio individuale in risparmio istituzionale sia legate al sistema normativo. Il sottosviluppo, ovviamente, non può essere risolto con una riforma. Tuttavia, sarebbe opportuno allinearsi agli standard internazionali e quindi garantire maggiore flessibilità, prevedendo, per esempio, meno vincoli in relazione al voto plurimo, liberalizzando la nomina del board e ricalibrando i compiti degli organi di controllo.

Possibili soluzioni

Nelle osservazioni conclusive, il Prof. Ventoruzzo ha approfondito, sempre dal punto di vista della supervisione finanziaria, il tema dell’attrattività della piazza italiana (la quale dipende da variabili macroeconomiche difficilmente controllabili dal solo governo nazionale).

Una possibile soluzione, senza abbandonarsi ad esterofilie superficiali, sarebbe il recepimento di aspetti della cultura del rimedio ex post. Pertanto, anziché provare a disciplinare tutto ex ante con perizia di dettagli, causando - inevitabilmente - un costo per tutti, si dovrebbe incentivare una disciplina che si basi su principi chiari ma contenuti e che sia seguita da un’azione di enforcement intelligente, equilibrata e proporzionata. Occorrerebbe inoltre cambiare il sistema, che oggi si basa su comunicazioni informali che spesso generano delle ambiguità, con una nuova prassi di risposte fornite direttamente dagli uffici – come viene già fatto dalla SEC –le quali non vincolano la commissione ma aiutano l’operatore a tenere un punto di riferimento. 

La terza – conclusiva – sessione ha visto l’intervento dei relatori Stefania Bariatti (Università degli studi di Milano), Laura Segni (Intesa San Paolo), Davide Serra (Algebris), Alessandro Varaldo (Banca Aletti), Andrea Vismara (Equita). La sessione si è incentrata sull’importanza degli stakeholders per il mercato italiano dei capitali, e sulle esternalità positive in termini di crescita dell’economia reale derivanti dalla eventuale valorizzazione dello stesso, che si sommano ai diretti benefici di un sistema di scambio di strumenti finanziari maggiormente vivace e frequentato.

Nei moderni mercati di capitali, uscenti da un forte periodo di globalizzazione, gli stakeholders non sono più una categoria limitata come un tempo, ma potenzialmente si identificano con tutti i consociati e le loro formazioni giuridiche. Questo comporta grandi opportunità ma anche nuove responsabilità: ci si aspetta dall’intermediario finanziario un grande sforzo di individuazione dei propri stakeholders e dei temi più di interesse per le diverse categorie di soggetti rappresentate in questo genus; in particolare, rileva l’importanza della transizione digitale, nonché il concetto di impresa sostenibile. Non si tratta quindi, naturalmente, solo di temi giuridici, bensì di un nuovo mondo, che pone l’accento su necessità sentite anche bottom-up e che conseguentemente richiede risposte concrete.

La problematica penuria di investitori nel mercato italiano

In un movimento di focalizzazione sul contesto italiano, un problema che si pone rispetto al mercato dei capitali è la penuria di investitori. Questa mancanza di investimenti in società italiane è dovuta a due principali ordini di fattori: la limitata conoscenza dello stesso panorama di possibilità e la mancanza di incentivi, anche di natura fiscale. 

Gli investitori domestici, in effetti, tendono a non investire la propria ricchezza nelle imprese italiane, ma in conti correnti oppure fondi di investimento esteri, soprattutto statunitensi. Gli investitori stranieri invece sono poco attratti dall’Italia, dove la valorizzazione delle imprese risulta essere inferiore rispetto agli altri paesi europei. La credibilità e la reputazione del mercato nazionale sono, inoltre, minate dai diversi e spesso repentini cambi di regime e di visione strategica, i quali convogliano un’idea di instabilità.

Il già menzionato problema del numero esiguo di investitori domestici è cruciale. La situazione di un mercato dominato dagli investitori esteri è difficile, perché questi, interessandosi solo delle grandi aziende, mancano di investire nelle c.d. small cap. Per un paese come l’Italia, il cui il tessuto economico è fondato su famiglie e legal entities secolari, in cui le piccole-medie imprese costituiscono la grande rappresentanza in Borsa, la situazione di difficoltà è evidente. Quest’ultima è grandemente dovuta alla disattenzione che si è avuta a livello regolamentare-pubblico nei confronti dei mercati dei capitali.

La risposta che ci si attende, attraverso scelte che in parte può fare solo il legislatore, è anzitutto l’incentivazione dell’investimento di risparmio gestito nelle società italiane, fornendo agli imprenditori gli strumenti e le risorse di cui necessitano per competere con le controparti estere. Questo risultato è perseguibile attraverso incentivi fiscali a favore di tutti quegli operatori che ad oggi potrebbero investire ma non lo fanno, come i fondi pensione, le assicurazioni e le casse di previdenza: una iniziativa che si sta sviluppando a livello governativo. Un'altra necessità è quella di portare la valorizzazione delle società italiane al pari degli altri paesi, per neutralizzare l’incentivo per le grandi aziende di andare a quotarsi all’estero. 

L’inefficiente applicazione del diritto italiano 

Questi processi incontrano ad oggi delle difficoltà, date in particolare dalla complessità dell’ordinamento giuridico italiano, che notoriamente genera incertezza e causa la diminuzione dell’appetibilità degli investimenti. Tuttavia, l’esperienza comprova come l’adempimento degli obblighi richiesti da altre giurisdizioni non si dimostri affatto più semplice. Pertanto, non è tanto il diritto italiano nella sua sostanza a costituire la difficoltà, bensì le inefficienze nella sua applicazione.

Ampliando la prospettiva in senso comunitario, una risposta a livello dell’UE sicuramente starebbe nella spinta all’armonizzazione, mentre a livello domestico ci si dovrebbe focalizzare sull’evitare il fenomeno del c.d. gold-plating, ossia l’ulteriore appesantimento del piano regolatorio rispetto agli standard europei.

Data per acquisita la risistemazione delle norme (primo tassello di una politica che si volga ad agevolare il mercato dei capitali), il problema non può comunque essere lasciato alle sole regole giuridiche. Occorre in Italia un c.d. consiglio di esperti, non sottoposto e sottomesso al cambio dei governi, che sia in grado di raccogliere nel tempo l’eredità fino ad oggi non riassunta dal regolatore e che non può essere raccolta dagli istituti di vigilanza, che non possono legittimamente essere chiamati a promuovere quegli stessi mercati che devono poi vigilare. 

Per le considerazioni di sintesi sui lavori della giornata è intervenuta poi l’Avv. Alessandra Perrazzelli (Banca d’Italia), con chiusura del Prof. Andrea Sironi (Università Bocconi). L’intervento si è incentrato sull’importanza della supervisione e della digitalizzazione per un mercato dei capitali integrato.

L’ecosistema nel quale oggi si sviluppa il mercato finanziario italiano è molto ampio ed è caratterizzato da un’interazione sempre più stretta tra mondo finanziario e gli operatori tecnologici innovativi. Questo processo è stato poi recentemente accelerato a causa della pandemia da Covid-19. 

Gli intermediari stanno finalmente facendo molto, permettendo a realtà di eccellenza tecnologica di emergere. Gli operatori si trovano a svolgere un’operazione sistematica sui propri modelli di business per tenere il passo con l’evoluzione e l’affermarsi della tecnologia quale strumento per fornire prodotti e servizi nuovi, mutati dalla digitalizzazione. L’esigenza dell’autorità di vigilanza è quella di portare un’innovazione forte del quadro regolamentare e dell’approccio alla supervisione. Sono in corso di definizione delle norme anche a livello europeo, ma i tempi necessari per inserirle nei sistemi nazionali italiani sono tradizionalmente troppo lunghi. Tuttalpiù, la vigilanza prudenziale non può più considerarsi sufficiente, ma l’istituto di vigilanza deve poter promuovere in prima persona l’innovazione e l’asservimento al progresso.

A livello di investimento, invece, accanto al ruolo importante di Cassa Depositi e Prestiti come anchor investor in tutti quei settori tecnologici in fase di sviluppo, è importante aggregare gli operatori e fare in modo che la massa di investitori nel nostro paese diventi sempre più grande. L’Italia di oggi vede una grande spinta al cambiamento: anche negli operatori tradizionali, ma soprattutto nelle startup e nel settore dello sviluppo.

Il paese si sta muovendo e la speranza è quella che ciò possa richiamare attenzione degli investitori, anche oltre i confini nazionali.


[1] La media del rapporto tra capitalizzazione del mercato e PIL è 1:3 per l’Italia rispetto ai paesi del G7, 1:2 rispetto ai paesi dell’area europea e il numero di società quotate ogni milione di popolazione è in rapporto di 1:5 rispetto ai paesi del G7 e 1:3 rispetto ai paesi dell’Unione Europea.

[2] Invece, osserva il Dott. Di Nava, è la Svezia, nell’ultimo anno, al primo posto tra tutti i paesi europei in termini di quotazioni e capitalizzazione sul mercato regolamentato interno.

[3] Si fa riferimento alla preannunciata intenzione, da parte della BCE, di avviare una politica restrittiva e deflazionistica tramite la riduzione degli investimenti in titoli governativi dei Paesi membri.

[4] Si veda a riguardo il prospetto illustrativo della Banca d’Italia, disponibile su https://economiapertutti.bancaditalia.it/investire/pir/  

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