Papers
Le Clausole Statutarie Nulle: Profili Rimediali ed Efficacia
Anteprima alla pubblicazione del volume speciale 2024/17
Abstract
***
The company bylaws are a complex document which contains a number of rules. These rules range from the board’s duties and responsibilities to corporate procedures necessary to take some specific actions. While shareholders are free to determine some rules, other rules are imposed by law. This paper examines what happens when mandatory corporate laws are violated, how this happens and who has to be held responsible for this event.
Sommario. 1. Tipo societario e clausole statutarie. – 2. Le invalidità nel diritto societario. – 3. Il sistema dei rimedi alle clausole statutarie nulle. – 4. Efficacia delle clausole statutarie nulle?
1. Tipo societario e clausole statutarie.
L’atto costitutivo delle società si configura quale atto con una duplice valenza. Da un lato, ai sensi dell’art. 2247 c.c.,[1] si tratta di un vero e proprio contratto associativo stipulato da soggetti privati nell’esercizio della loro autonomia;[2]dall’altro, esso ambisce a fissare regole organizzative per quello specifico ente. Il contratto di società, cioè, “si caratterizzerebbe sul piano funzionale in termini sostanzialmente ambivalenti, da un lato per il rapporto contrattuale […] che ne risulta, dall’altro per il suo significato organizzativo”.[3]
Come noto, l’atto costitutivo può comporsi di due documenti separati: l’atto costitutivo in senso stretto, che “indica come la società sia sorta” e assume dunque un “valore storico”, e lo statuto, che invece “descrive la società quale è e come vive” e “riproduce e sviluppa […] gli elementi strutturali e funzionali”.[4] Senza scendere nel dibattito circa i rapporti tra atto costitutivo e statuto,[5] basti qui evidenziare che il legislatore prescrive che dal complesso documentale dell’atto costitutivo devono risultare chiaramente taluni elementi necessari.[6] Nel dettaglio, è stato detto che l’art. 2328, co. 1° c.c. specifica il contenuto “tendenzialmente necessario dell’atto costitutivo”.[7]
A ben vedere, solo taluni degli elementi indicati sono strettamente necessari e, segnatamente: le generalità dei soci fondatori e il numero di azioni sottoscritte da ognuno di loro; la denominazione della società e il comune in cui essa ha la propria sede; l’attività che costituisce l’oggetto sociale; l’ammontare del capitale sociale sottoscritto e di quello versato; il numero di azioni, le loro caratteristiche e le modalità di emissione e circolazione; il numero degli amministratori e chi tra loro ha la rappresentanza della società; il numero dei componenti del collegio sindacale; la nomina dei primi amministratori e sindaci. Tutte queste informazioni devono trasparire dal complesso dell’atto costitutivo nel senso che devono per forza formare il contenuto delle clausole statutarie, seppur con l’avvertenza che non sempre la loro mancanza importa la nullità della società ai sensi dell’art. 2332 c.c.
Tra le diverse previsioni contenute in statuto, sembra convincente prospettare una categorizzazione delle clausole statutarie del seguente tenore.[8] La clausola statutaria di maggior rilievo è certamente quella che indica la denominazione della società. Tale clausola deve infatti indicare il tipo societario cui l’ente afferisce e, in virtù del nomen iuris prescelto,[9] “attiva” la disciplina legale di quel tipo societario, con ciò intendendo che saranno applicabili tutte le norme di legge predisposte dal legislatore per quel tipo societario, salvo quelle espressamente derogate dall’autonomia statutaria.[10] Vi sono poi le clausole statutarie che fissano dei “dati”, ovverosia concretizzano la disciplina legale di riferimento fornendo talune informazioni come, ad esempio, il numero di amministratori o il numero di componenti del Collegio sindacale. Infine, ci sono le clausole statutarie che pongono regole organizzative che integrano la disciplina legale o vi derogano.
Con specifico riguardo a quest’ultima tipologia di clausole statutarie, si tratta di clausole eventuali che possono disciplinare molteplici aspetti dell’organizzazione. Nella moltitudine di clausole statutarie, ad ogni modo, è possibile individuarne talune che è possibile definire come clausole statutarie a carattere organizzativo. Sono, queste, una species di clausole statutarie che “si presta[no] a disciplinare futuri procedimenti decisionali e/o ad ammettere o imporre particolari comportamenti dei soci e delle cariche sociali, riconoscendo loro diritti, poteri, facoltà, obblighi”.[11] Queste clausole sono gli strumenti attraverso cui l’autonomia dei privati è maggiormente in grado di modellare l’ente societario e piegarlo alle proprie esigenze, sicché l’organizzazione può presentare margini di flessibilità. D’altronde, è chiaro che la disciplina di ogni tipo societario contiene delle norme inderogabili che rappresentano il “nocciolo duro” di quel tipo e che sono attivate proprio nel momento della scelta del tipo. In altre parole, “[l]’ordinamento delle società per azioni è ordinamento di carattere contrattuale, creato dall’autonomia delle parti, anche se nell’ambito di una tipicità stabilita dalle legge” ed esso “è contenuto nel regolamento di un contratto, le cui strutture sono tipicamente determinate dalla legge”.[12]
Se si accetta quanto esposto sino a questo punto, può risultare interessante chiedersi come si sviluppino e come si debbano affrontare le situazioni patologiche che possono affliggere le clausole statutarie. In altre parole, ci si può chiedere come le clausole statutarie a carattere organizzativo viziate possono fare il loro ingresso negli statuti delle società, quali effetti producono e con quali strumenti si possa rimediarvi.[13]
2. Le invalidità nel diritto societario
È insegnamento tradizionale che, nell’ambito delle società per azioni (“S.p.A.”) e delle società a responsabilità limitata (“S.r.l.”), la disciplina delle invalidità ha carattere peculiare e speciale se raffrontata con le norme dell’invalidità di diritto comune. In effetti, se la nullità di diritto comune è identificata come un’invalidità “di portata generale”,[14] nel diritto commerciale il rapporto tra nullità e annullabilità è ribaltato, cosicché la nullità rappresenta un’eccezione riservata a casi tassativi preventivante individuati ex lege, mentre l’annullabilità ha carattere residuale. In aggiunta, gli atti societari viziati da nullità sono tendenzialmente sanabili e la nullità di un atto non implica (o, perlomeno, non implica in ogni caso) la definitiva inefficacia giuridica dello stesso. Le rationes sottostanti a queste scelte legislative hanno a che fare con la stabilità degli atti societari: onde evitare la disgregazione dell’attività economica dell’ente a valle della pronuncia di nullità di un atto, quest’ultima ha, per così dire, un raggio di azione limitato sotto diversi aspetti. D’altronde, le dinamiche dell’attività d’impresa necessitano di una rapida concatenazione di atti giuridici e operazioni economiche, ragion per cui è virtualmente impossibile ripristinare lo status quo ante in esito alla declaratoria di nullità di un atto.[15] Venendo alla disciplina sulla nullità nel sistema societario della S.p.A., due sono le disposizioni di interesse: l’art. 2332 c.c. e l’art. 2379 c.c. Li si analizzi separatamente.
Il vigente art. 2332 c.c.[16] indica le ipotesi per cui può verificarsi la nullità della società. Emergono qui con forza i caratteri peculiari del vizio della nullità in ambito societario: efficacia ex nunc, sanabilità e tassatività delle cause di nullità; peraltro, le cause di nullità della società operano semplicemente quali cause di scioglimento dell’ente, lasciando impregiudicata l’attività compiuta fino al momento di declaratoria della nullità. Con riguardo alla relazione tra art. 2332 c.c. e clausole statutarie viziate da nullità, la norma trova applicazione solamente nel caso di cui al co. 1, n. 2), ovverosia se la clausola statutaria che indica l’oggetto sociale è nulla perché prevede un’attività illecita.[17] In tutti gli altri casi, cioè qualora siano presenti altri tipi di clausole statutarie viziate da nullità, il rimedio deve necessariamente essere di tipo diverso. Il tema sarà dunque ripreso infra.
L’art. 2379 c.c., invece, concerne la nullità delle deliberazioni assembleari e merita un’analisi più dettagliata. Prima della riforma del diritto societario del 2003 (la “Riforma”),[18] l’art. 2379 c.c. richiamava la nullità di diritto comune e limitava la propria applicabilità esclusivamente e tassativamente ai vizi contenutistici delle deliberazioni assembleari.[19] Di conseguenza, ogni altro vizio e, segnatamente, i vizi procedimentali della deliberazione, andavano sussunti entro la fattispecie dell’annullabilità di cui all’art. 2377 c.c., caratterizzata da un termine di esperibilità entro tre mesi dalla data della deliberazione, decorsi i quali gli effetti di quest’ultima erano da considerarsi definitivamente consolidati. Come noto, questo manicheismo legislativo tra vizi contenutistici, sanzionabili con la nullità, e vizi procedimentali, da far valere con l’azione di annullamento, non ha retto alla prova del tempo. Dapprima, per far fronte al problema dei vizi procedimentali estremamente gravi ma non più eliminabili con l’azione di annullamento in esito al decorso del breve termine di tre mesi, la giurisprudenza ha coniato[20] una nuova tipologia di vizio: l’inesistenza delle deliberazioni assembleari,[21] che parte della dottrina non ha esitato a identificare come nullità “camuffata”.[22] In un secondo momento, stante le difficoltà di individuare i confini dell’inesistenza e considerato che “l’incertezza regna[va] sovrana”[23] con conseguenze nefaste per la stabilità degli atti societari,[24] è intervenuto il legislatore con la Riforma.
Il sistema attuale dell’invalidità delle deliberazioni assembleari ha scardinato la dicotomia nullità-vizi contenutistici e annullabilità-vizi procedimentali, cercando di offrire un sistema più lineare che impedisca il ricorso a nuove categorie di origine giurisprudenziale. Pur mantenendo, almeno formalmente, la classica distinzione tra annullabilità e nullità,[25] il nuovo sistema ha voluto determinare una cesura tra le invalidità del diritto societario e quelle di diritto comune, eliminando i previgenti richiami del primo al secondo.[26]
L’art. 2377 c.c., in tema di deliberazioni annullabili, si riferisce (come il testo previgente) al principio di conformità, per cui sono impugnabili con l’azione di annullamento le deliberazioni non conformi alla legge o allo statuto. Innovativo rispetto al passato è il co. 5°, che ha introdotto la cosiddetta “prova di resistenza”, in virtù della quale l’ordinamento non ha interesse ad acclarare il vizio e a determinare l’annullamento della deliberazione, qualora il primo non sia stato determinante per l’assunzione della seconda. Diversa è anche la legittimazione ad agire, stante il fatto che l’azione di annullamento proposta dai soci richiede il possesso di una partecipazione qualificata, cosicché la tutela reale non è (più) appannaggio dei singoli soci ma assume la configurazione di un potere della minoranza.[27] Onde evitare di lasciare totalmente privi di tutela i soci che non detengano le suddette partecipazioni qualificate, il co. 4° predispone in loro favore la tutela obbligatoria (o risarcitoria, che dir si voglia) per il danno cagionato dalla deliberazione invalida. Vi sono poi il co. 7° e il co. 8°, entrambi richiamati dall’art. 2379 c.c. Il primo sancisce che “l’annullamento della deliberazione ha effetto rispetto a tutti i soci ed obbliga gli amministratori, il consiglio di sorveglianza e il consiglio di gestione a prendere i conseguenti provvedimenti sotto la propria responsabilità”; aggiunge che “in ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione”. Il co. 8°, invece, impedisce al giudice di pronunciare l’annullamento della deliberazione ove la deliberazione impugnata sia stata sostituita con altra conforme a legge e statuto, restando compito del giudice pronunciarsi sulle spese di lite e sull’eventuale risarcimento del danno (che, quindi, può sussistere anche qualora la deliberazione viziata sia sostituita).
Si venga ora alle deliberazioni assembleari nulle ex art. 2379 c.c. Come già detto, le ipotesi di nullità non sono (più) esclusivamente relative a vizi contenutistici, mentre non v’è dubbio che siano chiaramente tassative: si tratta dei casi di mancata convocazione dell’assemblea, mancanza del verbale e impossibilità o illiceità dell’oggetto della deliberazione, dove le prime due sono state introdotte dalla Riforma.[28] La norma ha mantenuto la legittimazione processuale dell’azione di nullità di “chiunque vi abbia interesse”,[29] ma ha segnato invece una cesura netta dal punto di vista dei termini entro cui far valere l’azione. Difatti, il termine (decadenziale)[30] entro cui esperire l’azione di nullità della deliberazione assembleare corrisponde a tre anni dall’iscrizione o dal deposito della deliberazione nel Registro delle Imprese (ove previsto) oppure dalla sua trascrizione nel libro delle adunanze dell’assemblea (negli altri casi).[31] Rilevante, infine, è che, a norma dell’art. 2379, co. 2° c.c., la rilevabilità ex officio del vizio della nullità sia possibile esclusivamente “nei casi e nei termini previsti” dal co. 1°, sicché anche per il giudice vale il termine decadenziale di tre anni.
Se questa è la cornice normativa di riferimento, una particolare questione su cui non vi è unanimità di opinioni concerne i confini tra deliberazioni nulle e deliberazioni annullabili. Ovverosia, posto che le deliberazioni annullabili sono tali perché non sono conformi alla legge o allo statuto e che le deliberazioni nulle sono tali perché (in una delle tre ipotesi di nullità) recano un oggetto illecito o impossibile,[32] dove vanno fissati i limiti della non conformità e dove quelli della illiceità? In altre parole, una deliberazione il cui oggetto sia contrario a norme imperative è nulla perché presenta oggetto illecito oppure è annullabile perché non è conforme alla legge?
Se si ritiene (come sembra preferibile ritenere) che l’oggetto della deliberazione includa sia la materia su cui l’assemblea della deliberazione sia il contenuto effettivo di quest’ultima,[33] sembra corretto ritenere nulle tutte le deliberazioni che (nell’oggetto astratto o nel contenuto concreto) siano viziate da nullità per illiceità o impossibilità.[34] Qualora si adotti questa prospettiva, è però chiaro che viene a “ridursi” il campo di applicazione dell’art. 2377 c.c., nel senso che la norma troverebbe applicazione, (i) da un lato, nel caso di vizi procedimentali diversi dalla mancanza di convocazione e dall’assenza di verbale (essendo questi ultimi sanzionati dall’art. 2379 c.c.), e (ii) dall’altro, nel caso in cui l’oggetto della deliberazione sia contrario alle norme statutarie (mentre la contrarietà alla legge, dunque l’illiceità, sarebbe sanzionata con la nullità ex art. 2379 c.c.). Onde evitare questa compressione dell’applicabilità dell’art. 2377 c.c., la giurisprudenza ha ritenuto di dovere ulteriormente confinare il vizio della nullità: è stato sostenuto, difatti, che “non la violazione di qualsiasi norma cogente determina la nullità delle deliberazioni assembleari a norma dell’art. 2379 c.c., ma solo il contrasto con norme o dettate a tutela di un interesse generale che trascenda l’interesse del singolo socio, o dirette ad impedire una deviazione da quello che è lo scopo economico-pratico del contratto di società. Si è fuori dal concetto di illiceità, di cui all’art. 2379 c.c., allorché l’oggetto della deliberazione sia in contrasto con norme cogenti ispirate esclusivamente alla tutela di singoli soci o di gruppi di soci, e dell’interesse immediato e diretto di costoro, perché in tali casi si versa nelle ipotesi di annullabilità contemplate dall’art. 2377”.[35]
Un interprete sufficientemente accorto, tuttavia, non fa difficoltà a notare che la posizione della giurisprudenza si basa su una distinzione tra norme imperative di due tipi che non solo non traspare dal dato normativo, ma rischia altresì di sfociare nell’arbitrarietà, stante il fatto che gli interessi tutelati dalle norme non sono sempre di facile individuazione.[36] L’orientamento secondo cui la nullità dev’essere relegata a tutela di interessi generali, in verità, è messa in crisi anche da due ulteriori constatazioni. In primis, l’emersione negli ultimi anni, della categoria della nullità di protezione, predisposta a tutela dell’interesse di singoli soggetti che si trovino in situazioni di svantaggio rispetto alla controparte, non certo a tutela di un interesse generale. In secondo luogo, rileva che la stessa nullità delle deliberazioni assembleari ex art. 2379 c.c. presenti due ulteriori ipotesi e, segnatamente, la mancanza di convocazione e l’assenza di verbale: si tratta di vizi che sembrano danneggiare la posizione dei soci e i loro interessi, non certo un interesse generale al corretto funzionamento procedurale delle organizzazioni societarie.
3. Il sistema dei rimedi alle clausole statutarie nulle
Posto quanto detto sin qui, è appena il caso di rilevare come il sistema delle invalidità societarie non appresta una disciplina specifica per il caso in cui nell’atto costitutivo di una S.p.A. vi siano clausole statutarie a carattere organizzativo illecite (e, pertanto, nulle). Di conseguenza, può essere interessante interrogarsi su tale ipotesi.
I momenti in cui una clausola statutaria nulla può fare ingresso nello statuto di una S.p.A. sono essenzialmente due:[37] il momento della costituzione della società e il momento delle modifiche dello statuto.[38] Si parta dalla prima ipotesi.
Può accadere che, nonostante il controllo notarile sugli atti costitutivi di S.p.A.,[39] uno statuto con all’interno una clausola nulla venga iscritto nel Registro delle Imprese in esito alla richiesta del notaio. Si ipotizzi, ad esempio, che sia presente una clausola che, in sfregio all’art. 2325 c.c., stabilisce che i soci devono coprire con il proprio patrimonio le perdite della società. Avvenuta l’iscrizione dell’atto costitutivo nel Registro delle Imprese, non risulta possibile pronunciare la nullità della società se non per le ragioni di cui all’art. 2332 c.c., cosicché le opzioni sono due: o si ritiene che la clausola nulla debba esser mantenuta in vita e, dunque, si rende necessario riqualificare la società, cioè modificare il tipo sociale prescelto dai soci passando, ad esempio, da S.p.A. a Società in nome collettivo (“S.n.c.”); oppure la clausola nulla dev’essere eliminata e in sua vece deve trovare operatività la disciplina legale. La prima ipotesi, è chiaro, sarebbe fonte di gravissime incertezze per i soci, gli amministratori e chiunque intrattenga rapporti giuridici con la società.[40] Evidentemente, perciò, la strada da seguire è un’altra. In particolare, sarà necessario eliminare la clausola statutaria nulla tramite un’azione di accertamento della nullità parziale, ai sensi dell’art. 1419, co. 2° c.c.[41]
Si venga ora all’ipotesi in cui una clausola statutaria nulla venga aggiunta allo statuto in virtù di una deliberazione assembleare di modifica dello stesso. Una deliberazione di questo tipo è certamente nulla per illiceità dell’oggetto e, di conseguenza, potrà essere dichiarata nulla entro il termine di tre anni dalla sua iscrizione nel Registro delle Imprese ai sensi dell’art. 2379 c.c. A tal punto, è ragionevole configurare due ipotesi: che il termine decadenziale di tre anni sia già trascorso oppure che i tre anni non siano ancora decorsi. Partendo da quest’ultimo caso, l’impugnazione della deliberazione può esser proposta da chiunque vi abbia interesse, nel senso che i legittimati ad agire (in primis, soci, ex-soci, aventi causa dei soci, terzi controparti della società, amministratori e sindaci)[42] devono dimostrare un proprio interesse[43] a vedere eliminata la deliberazione. Per amministratori e sindaci, peraltro, sembra configurabile non solo il potere, bensì anche il dovere di impugnare le deliberazioni viziate da nullità: difatti, sembra corretta l’osservazione che, se il potere-dovere di impugnare una deliberazione sussiste per le deliberazioni annullabili, a fortiori sussisterà nel caso di vizi più gravi e, segnatamente, nel caso di nullità.[44]
Con riguardo al procedimento di impugnazione della deliberazione, sembra chiara l’applicabilità dell’art. 2378 c.c.[45] e, conseguentemente, sembra configurabile anche per le deliberazioni nulle il rimedio cautelare della sospensione dell’esecuzione della deliberazione. Di più, dottrina e giurisprudenza sembrano concordare sul fatto che, sebbene il dato normativo parli di “esecuzione” della deliberazione, la sospensione può essere disposta anche con riguardo alle deliberazioni c.d. self executing tra cui si annoverano, come noto, le deliberazioni di modifica dello statuto.[46]
Se questa è la disciplina applicabile fino al decorso del termine decadenziale di tre anni, sembra doveroso interrogarsi sull’evenienza in cui siano già decorsi tre anni dall’iscrizione della deliberazione di modifica dello statuto nel Registro delle Imprese. In particolare, se è introdotta in statuto una clausola nulla a valle di una deliberazione di modifica statutaria, sembrano potersi prospettare due tesi: o dopo tre anni la clausola statutaria nulla è divenuta inattaccabile al pari della deliberazione che l’ha introdotta; oppure è necessario scindere le due cose e prospettare una soluzione diversa.
Come è intuibile, la seconda tesi è di gran lunga preferibile.[47] Cioè, con esclusivo riferimento alle clausole che dettano norme organizzative della vita societaria,[48] sembra corretto distinguere tra “dichiarazione di nullità «della deliberazione», per la quale opererebbe la preclusione triennale, e invalidità della clausola costituente oggetto della deliberazione (che potrebbe essere dichiarata sine die)”.[49] Di conseguenza, per far dichiarare la nullità della clausola introdotta con deliberazione assembleare non più impugnabile sarà necessario proporre l’azione di accertamento della nullità parziale dello statuto, al pari di quanto visto per le clausole statutarie nulle presenti ab origine.
4. Efficacia delle clausole statutarie nulle?
Il punto conclusivo, ma centrale rispetto all’analisi sin qui svolta, ruota attorno alla seguente domanda: fintantoché una clausola statutaria nulla con carattere organizzativo è presente in statuto e, dunque, finché non è stata rilevata la sua nullità, di quale efficacia gode tale clausola?
Per fornire una risposta, torna utile domandarsi quale sia l’efficacia delle deliberazioni nulle perché introduttive di clausole statutarie nulle. In seguito alla Riforma, difatti, la dottrina si è divisa tra coloro che sostengono che le deliberazioni nulle siano inefficaci e tali rimangano[50] e chi afferma che siano interinalmente efficaci, diventando definitivamente efficaci dopo che siano trascorsi tre anni senza che sia stata proposta l’impugnazione:[51] il primo orientamento, ossequioso del brocardo quod nullum est nullum producit effectum, si lascia preferire.[52]
Tuttavia, senza qui scendere nel dibattito circa l’efficacia giuridica della deliberazione nulla, si vuole solamente sottolineare l’ovvio: “anche la delibera nulla, produca o no effetti giuridici, può essere cionondimeno eseguita e così pregiudicare direttamente interessi sostanziali”.[53] E in verità ogni atto, viziato o meno, a prescindere dalla sua efficacia giuridica, è potenzialmente in grado di avere una “efficacia di fatto”,[54] ovverosia di dispiegare degli effetti sostanziali, frutto della sua esecuzione materiale.[55] Ed è proprio questa la ragione per cui la sospensione dell’esecuzione delle deliberazioni assembleari ex art. 2378 c.c. può esser disposta anche con riguardo alle deliberazioni nulle, le quali sono da considerarsi giuridicamente inefficaci. Il punto critico è quindi rappresentato dal fatto che può incorrere una scissione, per così dire, tra efficacia giuridica ed efficacia di fatto: in altre parole, possono determinarsi modificazioni della realtà materiale senza che sia però fornita un’adeguata copertura giuridica. Tale scissione, è evidente, avviene in esito al comportamento dei soggetti che entrano in contatto con l’atto nullo e, nonostante il vizio della nullità, lo attuano, vi danno esecuzione.[56]
Di là dalle deliberazioni assembleari, il fenomeno della scissione tra efficacia giuridica ed efficacia di fatto non è inverosimile nel caso in cui il vizio della nullità riguardi una clausola statutaria a carattere organizzativo.[57] Il rischio, quindi, è che clausole nulle perché contrarie a norme imperative orientino e regolino lo svolgimento della vita sociale di (almeno) soci, amministratori e sindaci. È chiaro, d’altronde, che una situazione di questo tipo comporta un vulnuscostante, perpetuato e sistematico per le norme di legge inderogabili e per l’ordinamento giuridico. Nuovamente, perciò, si pone un bivio: o le clausole statutarie nulle con valore organizzativo acquistano efficacia a partire da un termine a quo, determinando una violazione sistematica dell’ordinamento, oppure sono inidonee a produrre effetti giuridici e restano perennemente tali. Non dovrebbero esserci dubbi sulla preferibilità del secondo orientamento, sì da ritenere giuridicamente inefficaci le clausole nulle, a prescindere dal momento in cui facciano il loro ingresso in statuto. Che ne è, però, degli atti compiuti contra legem ma conformemente alla clausola statutaria (nulla)? La questione è stata affrontata risolutivamente dalla dottrina e si è concluso che una clausola statutaria nulla non può legittimare successivi comportamenti contra legem, cosicché l’attività conforme a clausole statutarie nulle deve ritenersi invalida e, pertanto, passibile di impugnazione ex artt. 2377 ss. c.c.[58]
Il fatto che la clausola nulla sia giuridicamente inefficace, ma trovi nondimeno applicazione concreta, fa riemergere il problema della discrasia tra inefficacia giuridica ed efficacia di fatto. Si ripropone, cioè, la differenza tra il mondo del diritto (il dover essere) e il mondo della realtà fattuale (l’essere). Come si può evitare tale conflitto? Naturalmente, facendo ricorso a dei presìdi che impongano a taluni soggetti di rilevare tanto la nullità delle clausole statutarie quanto la loro inefficacia, di modo che la clausola nulla sia considerata tamquam non esset, dunque sia disapplicata, e trovi invece applicazione la disciplina di legge inderogabile.
Naturalmente, il primo presidio di legalità è rappresentato dal notaio. Ma se ci si pone in una fase successiva all’iscrizione della clausola nulla nel Registro delle Imprese, la responsabilità del notaio non è sufficiente, non avendo il pubblico ufficiale più il potere di disapplicare la clausola all’interno della società. Bisogna allora verificare su chi incombe il dovere di evitare che vengano compiuti atti pregiudizievoli all’interno della società.
A ben vedere, la norma di riferimento è l’art. 2392, co. 2° c.c., in tema di responsabilità degli amministratori verso la società. In effetti, se, come ricordato supra, esiste per gli amministratori il potere-dovere di non dare esecuzione alle deliberazioni nulle e di impugnarle, si avrebbe un cortocircuito normativo se questo potere-dovere non fosse estensibile alle clausole statutarie nulle introdotte con deliberazioni nulle. Difatti, già l’approvazione della modifica statutaria introduttiva di una clausola nulla con valore organizzativo può considerarsi un atto pregiudizievole di cui gli amministratori sono necessariamente a conoscenza e che dovrebbero impedire. Inoltre, le “conseguenze dannose” che l’introduzione di tale clausola nulla è in grado di produrre (in virtù del fatto che gli atti futuri conformi alla clausola nulla saranno invalidi) rappresentano ciò che gli amministratori hanno l’obbligo di eliminare o attenuare. Se si accoglie questo ragionamento per le clausole statutarie nulle a carattere organizzativo introdotte con deliberazioni assembleari, d’altronde, è giocoforza concludere che il medesimo potere-dovere di impugnazione e disapplicazione sussiste (e deve sussistere) anche per le clausole statutarie nulle presenti nell’atto costitutivo ab origine.[59] Pertanto, è in ogni caso dovere degli amministratori disapplicare la clausola statutaria nulla con valore organizzativo,[60] impugnandola, e applicando invece la disciplina di legge indebitamente violata, ristabilendo così l’armonia tra (in)efficacia di fatto e (in)efficacia giuridica.
Un ultimo punto, cui qui solamente si accenna, è dato dalla possibile discrasia che può individuarsi tra esercitare l’azione di nullità parziale dell’atto costitutivo ex art. 1419, co. 2° c.c., e impugnare le deliberazioni invalide. In particolare, solamente quest’ultimo strumento configura anche la possibilità di ottenere il risarcimento del danno ex art. 2377, co. 4° c.c.,[61] peraltro a condizione che il danno consista in una perdita o in mancato guadagno, sicché l’obbligo di risarcimento per deliberazioni invalide ma neutre o vantaggiose per il socio legittimato ad impugnarle è escluso. Di contro, far valere in giudizio la nullità parziale dello statuto non sembra idoneo a fondare una pretesa risarcitoria. La materia non è di facile né immediata analisi, ragion per cui non si ha modo di approfondirla nel presente lavoro. Si tratta, tuttavia, di una linea di indagine che andrebbe ulteriormente sviluppata.
[1] Che recita: “Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”.
[2] Sul punto G. F. Campobasso, Diritto commerciale. 2 Diritto della società, 9 ed., Utet, Torino, 2015, pp. 3-4.
[3] Così C. Angelici, ‘La società per azioni. I Principi e problemi’, in P. Schlesinger (diretto da) Trattato di diritto civile e commerciale, Giuffrè, Milano, 2012, pp. 193-194.
[4] Così G. Frè, Commento sub art. 2328 c.c., in ‘Società per azioni’, in A. Scialoja - G. Branca (a cura di), Commentario del codice civile, 5 ed., Zanichelli, Bologna-Roma, 1982, p. 67. Al riguardo, si veda anche M. Stella Richter jr, ‘Forma e contenuto dell’atto costitutivo della società per azioni’, in G. E. Colombo, G. B. Portale (diretto da), Trattato delle società per azioni, 1 ed., Utet, Torino, 2004, pp. 168-169.
[5] Nel prosieguo si farà riferimento indifferentemente ad “atto costitutivo” e “statuto”, pur tenendo a mente che “è lo statuto a svolgere il ruolo centrale nella vita della società”, come sostenuto da M. Stella Richter jr, ‘Forma e contenuto dell’atto costitutivo della società per azioni’, in G. E. Colombo, G. B. Portale (diretto da), Trattato delle società per azioni, 1 ed., Utet, Torino, 2004, p. 171. Per una esposizione dei vari orientamenti circa la forma dello statuto e sul suo rapporto con l’atto costitutivo in senso stretto, si veda L. Genghini, La forma degli atti notarili, Cedam, Padova, 2009, pp. 397 ss.
[6] Sebbene il legislatore non parli mai di “elementi necessari” di un atto costitutivo.
[7] Così M. Stella Richter jr, Commento sub Artt. 2326-2328 c.c., in M. Notari (a cura di), ‘Costituzione – Conferimenti’, in P. Marchetti (diretto da), Commentario alla riforma delle società, Egea, Milano, 2008, p. 91.
[8] Quella che qui si riporta è una categorizzazione delle indicazioni contenute in un atto costitutivo – e, dunque, delle clausole statutarie – elaborata da M. Sciuto, La «mancanza dell’atto costitutivo» di società per azioni, Cedam, Padova, 2000, p. 114.
[9] Il nomen iuris può essere, ad esempio, quello di “S.p.A.” o di “S.r.l.”.
[10] In effetti, E. Bocchini, ‘«Atti» e «fatti» nella teoria della pubblicità legale commerciale’, in Giurisprudenza Commerciale., 2004, n.1, p. 263, ha ben evidenziato come “[i]l tipo [societario], in realtà, altro non è che uno statuto normativo di regole […], ma queste regole, oggi, sono dettate e dal legislatore e dall’autonomia privata (statuto)”.
[11] Questa la definizione adottata dal Consiglio Notarile di Milano, ‘Massima n. 13. Clausola statutaria illecita, introdotta con delibera non più impugnabile, e successive decisioni conformi a tale clausola’, in Massime Commissione Società, 18 marzo 2004.
[12] In tal senso, D. Corapi, Gli statuti delle società per azioni, Giuffrè, Milano, 1971, pp. 193-194.
[13] Nel prosieguo, ci si concentrerà esclusivamente sul tipo societario delle Società per Azioni, stante la maggior analiticità della disciplina di questo tipo societario e considerato che le successive riflessioni sembrano potersi ritenere valide per tutte le società di capitali.
[14] Così F. Galgano, ‘Il negozio giuridico’, in P. Schlesinger (diretto da), Trattato di diritto civile e commerciale, 2 ed., Giuffrè, Milano, 2002, p. 267.
[15] In tal senso, G. Meo, Gli effetti dell’invalidità delle deliberazioni assembleari, Giuffrè, Milano, 1998, p. 44.
[16] Per l’analisi storico-evolutiva della norma, si veda G. Palmieri, ‘La nullità della società per azioni’, in G. E. Colombo, G. B. Portale (diretto da), Trattato delle società per azioni, 1 ed., Utet, Torino, 2004, pp. 460 ss.
[17] Con la conseguenza che l’impossibilità di conseguire l’oggetto sociale può operare quale causa di scioglimento della società “solo” ai sensi dell’art. 2484, co. 1, n. 2 c.c. Sul punto si vedano A. Borgioli, La nullità della società per azioni, Giuffrè, Milano, 1977, pp. 416 ss. e G. Frè, Commento sub art. 2448 c.c., in ‘Società per azioni’, in A. Scialoja - G. Branca (a cura di), Commentario del codice civile, 4 ed., Zanichelli, Bologna-Roma, 1972, p. 782.
[18] La Riforma del diritto societario è stata disposta dai D. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 e n. 6, cui adde integrazioni e correzioni del legislatore.
[19] La norma sanciva infatti: “Alle deliberazioni nulle per impossibilità o illiceità dell’oggetto si applicano le disposizioni degli articoli 1421, 1422 e 1423”. Il richiamo alle norme di diritto comune implicava l’imprescrittibilità dell’azione di nullità, con la conseguenza che sulle deliberazioni assembleari pendeva sempre la spada di Damocle della nullità civilistica, idonea a spazzar via gli atti dipendenti dalla deliberazione nulla.
[20] Per quanto parlare di vizio di nuovo conio non sia corretto considerato che, come rileva M. Cian, ‘Invalidità e inesistenza delle deliberazioni e delle decisioni dei soci nel nuovo diritto societario’, in Rivista di Diritto Societario, 2004, p. 766, “il ricorso alla nozione di inesistenza può servire ogni qualvolta si voglia escludere la validità di un atto, caratterizzato da elementi non contemplati dalla legge come ipotesi di nullità, ma in presenza dei quali è deducibile in via di interpretazione sistematica e teleologica la volontà dello stesso ordinamento di escludere l’efficacia dell’atto”.
[21] Nell’ambito di una giurisprudenza sterminata sulle deliberazioni inesistenti si vedano, a titolo esemplificativo, Cass., 14 gennaio 1993, n. 403, in Riv. not., 1993, p. 961; Cass., 13 gennaio 1987, n. 133, in Giur. it., 1987, I, pp. 1764 ss.
[22] In tema di deliberazioni assembleari inesistenti, si veda G. F. Campobasso, Diritto commerciale. 2 Diritto delle società, 5 ed., Utet, Torino, 2002, pp. 361 ss.
[23] Così G. Ferri, ‘Sulle deliberazioni cosiddette inesistenti’, in Rivista di Diritto Commerciale., 1967, n.1, p. 398, dove l’Autore lamentava la mancanza di unanimità circa gli elementi sufficienti per determinare l’esistenza delle deliberazioni assembleari, cosicché nessuno poteva asserire con sicurezza che una deliberazione potesse definirsi davvero esistente.
[24] E si veda G. Zanarone, ‘L’invalidità delle deliberazioni assembleari’, in G. E. Colombo - G. B. Portale (diretto da), Trattato delle società per azioni, , 3 ed., Utet, Torino, 1993, p. 190, dove l’Autore afferma infatti che l’inesistenza ha costituito un “moltiplicatore delle cause di invalidità assoluta, imprescrittibile ed insanabile”.
[25] Tra i tanti critici della scelta del legislatore di mantenere le categorie di nullità e annullabilità e, anzi, a favore di un singolo vizio di “invalidità” similmente a quanto accade per le S.r.l. a norma dell’art. 2479-ter c.c., si vedano G. Conte, ‘Osservazioni sul nuovo regime di disciplina delle invalidità delle deliberazioni assembleari’, in Contratto e Impresa, 2003, pp. 646 ss.; B. Libonati, ‘Assemblea e patti parasociali’, in La riforma del diritto societario. Atti del convegno (Courmayeur 27-28 settembre 2002), Giuffrè, Milano, 2003, p. 145; G. Palmieri, C. Patriarca, Commento sub art. 2379 c.c., in Le società per azioni. Codice civile e norme complementari, tomo 1, Giuffrè, Milano, 2016, p. 1113; A. Pisani Massamormile, ‘Invalidità delle delibere assembleari. Stabilità ed effetti’, in Rivista di Diritto Commerciale, 2004, n.1, pp. 55 ss.; M. Rossi, ‘L’invalidità delle decisioni dei soci’, in Rivista di Diritto Commerciale, 2005, n.1, pp. 987-988; A. Spena, Commento sub art. 2379 c.c., in M. Sandulli, V. Santoro (a cura di), La riforma delle società. Commentario del d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, tomo 1, Giappichelli, Torino, 2003, p. 371.
[26] Sul carattere innovativo della disciplina, si vedano, tra gli altri, M. Centonze, ‘La delibera nulla: nuove tendenze interpretative e profili di disciplina’, in P. Abbadessa, G. B. Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, vol. 2, Utet, Torino, 2006, pp. 311-313; F. Chiappetta, Commento sub Art. 2377 c.c., in A. Picciau (a cura di), Assemblea, in P. Marchetti et al. (diretto da), Commentario alla riforma delle società, Egea, Milano, 2008, p. 261; B. Libonati, ‘Assemblea e patti parasociali’, in Rivista di Diritto Commerciale, 2002, n.1, pp. 474-477; A. Spena, Commento sub Art. 2379 c.c., in M. Sandulli, V. Santoro (a cura di), La riforma delle società. Commentario del d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, tomo 1, Giappichelli, Torino, 2003, p. 371.
[27] Così D. Spagnuolo, Commento sub Art. 2377 c.c., in M. Sandulli, V. Santoro (a cura di), La riforma delle società. Commentario del d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, tomo 1, Giappichelli, Torino, 2003, p. 348.
[28] Inoltre, l’art. 2379, co. 1° c.c. introduce una species di deliberazione nulla per illiceità dell’oggetto che si verifica nei casi in cui questa modifichi l’oggetto sociale prevedendo un’attività illecita o impossibile.
[29] Così rimanendo fedele all’art. 1421 c.c., a mente del quale: “Salvo diverse disposizioni di legge, la nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice”.
[30] Al riguardo, A. Spena, Commento sub art. 2379 c.c., in M. Sandulli, V. Santoro (a cura di), La riforma delle società. Commentario del d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, tomo 1, Giappichelli, Torino, 2003, p. 376.
[31] Ulteriore punto di novità e distacco rispetto al passato è la possibilità di sanare il vizio della nullità della deliberazione, perlomeno con riguardo ai casi di assenza di convocazione e mancanza del verbale, ai sensi dell’art. 2379-bis c.c. (per quanto, come ha rilevato A. Spena,Commento sub art. 2379-bis c.c., in M. Sandulli, V. Santoro (a cura di), La riforma delle società. Commentario del d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, tomo 1, Giappichelli, Torino, 2003, p. 378, parlare di “sanatoria” in riferimento all’assenza di convocazione sia improprio).
[32] Sembra ormai indubitabile che il termine “oggetto” non includa esclusivamente la “materia sulla quale l’assemblea è chiamata a deliberare”, bensì anche il contenuto concreto dell’atto adottato. Sul punto, si vedano G. E. Colombo, ‘Il bilancio d’esercizio’, in G. E. Colombo, G. B. Portale (diretto da), Trattato delle società per azioni, 7 ed., Utet, Torino, 1994, p. 447; G. Zanarone, ‘L’invalidità delle deliberazioni assembleari’, in G. E. Colombo, G. B. Portale (diretto da), Trattato delle società per azioni, 3 ed., Utet, Torino, 1993, pp. 418-419.
[33] Concordi sul punto G. F. Campobasso, Diritto commerciale. 2 Diritto delle società, 5 ed., Utet, Torino, 2002, p. 365; G. Palmieri, C. Patriarca, Commento sub art. 2379 c.c., in P. Abbadessa, G. B. Portale (diretto da), Le società per azioni. Codice civile e norme complementari, tomo I, Giuffrè, Milano, 2016, p. 1108.
[34] E sembra corretto adottare una definizione di “illiceità” ex art. 1343 c.c., per cui l’illiceità altro non è che la contrarietà a norme imperative, ordine pubblico o buon costume.
[35] E si vedano, ex multis, Cass., 2 aprile 2007, n. 8221, in Foro it. online; Cass., 9 aprile 1999, n. 3457, in Foro it., 1999, n.1, p. 2248; Cass., 22 luglio 1994, n. 6824, in Giust. civ., 1995, n.1, pp. 440 ss., ad avviso della quale “la deliberazione che sia in contrasto con diritti dei soci è nulla soltanto nell’ipotesi di diritti inderogabili ed irrinunciabili, intendendosi per tali quelli collegati ad un interesse generale, che trascende i limiti oggettivi del potere di disposizione del singolo socio”; Cass., 23 marzo 1993, n. 3458, in Giur. comm., 1994, n.2, pp. 372 ss.; Cass., 7 aprile 1972, n. 1032, in Foro it., 1972, n.1, p. 1567; Cass., 20 aprile 1961, n. 883, in Foro it., 1961, n.1, p. 1715. In verità, tale tesi era già stata prefigurata in termini simili da A. Candian, Nullità e annullabilità delle delibere di assemblea di società per azioni, Giuffrè, Milano, 1942, p. 193, e poi da G. Romano-Pavoni, Le deliberazioni delle assemblee delle società, Giuffrè, Milano, 1951, p. 147.
[36] Sul tema, si vedano G. Grippo, C. Bolognesi, ‘L’assemblea nella società per azioni’, 2 ed., in P. Rescigno (diretto da), Trattato di diritto privato, 16 ed., Utet, Torino, 2011, p. 178, dove si afferma (condivisibilmente) che l’indirizzo giurisprudenziale sia inidoneo “a circoscrivere le cause di nullità delle delibere”; G. Guerrieri, La nullità delle deliberazioni assembleari di società per azioni, Giuffrè, Milano, 2009, pp. 125-127, per cui “non v’è traccia nelle norme di legge della distinzione tra norme imperative di un tipo e dell’altro; il richiamo allo scopo della società è quanto meno non attinente al sistema delle invalidità delle deliberazioni assembleari” ed “è forse il caso di ritenere che i giudici non si riferiscano allo scopo-fine del contratto di società”, bensì alle “norme imperative di rango primario poste a presidio dei valori fondamentali del sistema societario. Allora, appare preferibile ritenere che la nullità svolga ruolo residuale e sia applicabile nelle ipotesi in cui l’organo assembleare abbia travalicato i limiti delle proprie competenze (e.g., comprimendo diritti indisponibili dei soci o di terzi), deliberando su un oggetto (giuridicamente) impossibile, o abbia violato i principi cardine del diritto delle società per azioni, dando vita a deliberazioni illecite; potendosi altrimenti esperire l’impugnativa unicamente entro i limiti di cui all’art. 2377 c.c.”. In difesa dell’orientamento giurisprudenziale, si veda però R. Sacchi, A. Vicari, ‘Invalidità delle deliberazioni assembleari’, in O. Cagnasso, L. Panzani (diretto da), Le nuove s.p.a., Zanichelli, Bologna, 2010, pp. 637-638.
[37] In verità, si potrebbe argomentare che sussiste un terzo momento in cui possono configurarsi clausole statutarie nulle: si tratta del momento in cui, in esito a modifiche normative apportate dal legislatore, le clausole statutarie valide sino al momento dell’entrata in vigore delle nuove norme imperative diventano viziate da nullità. Tale ipotesi, tuttavia, non sembra segnata da particolari differenze rispetto al caso di clausole statutarie nulle presenti ab origine, cioè sin dal momento della costituzione dell’ente.
[38] E si veda P. Ferro-Luzzi, La conformità delle deliberazioni assembleari alla legge ed all’atto costitutivo, Giuffrè, Milano, 1993 (rist.), p. 104, dove si evidenzia che l’atto costitutivo “non solo costituisce il momento iniziale dell’attività, ma, organizzandola, ad essa rimane immanente. L’atto, la deliberazione di modificazione, parallelamente, non esaurisce la sua funzione nella puntuale modificazione di una realtà cui resta estraneo, ma si aggiunge all’atto costitutivo, sostituendolo per la parte modificata, e per questa restando così immanente alla successiva attività. Ne deriva […] una sostanziale identità di natura, organizzativa, tra atto costitutivo e deliberazione modificativa”.
[39] Ci si limita qui ad aderire alla tesi secondo cui, nel sistema attuale, il pubblico ufficiale ha ereditato il controllo che in passato era del Tribunale. Nel mare magnum della letteratura in tema di controllo notarile sugli atti costitutivi e del suo rapporto con il previgente controllo da parte dell’Autorità Giudiziaria, si vedano in giurisprudenza Cass., 11 novembre 1997, n. 11128, in Riv. not., 1998, pp. 493 ss.; in dottrina M. Notari, ‘Contenuto ed estensione del controllo di legalità degli atti societari da parte del notaio’, in A. Paciello (a cura di), Il controllo notarile sugli atti societari, Giuffrè, Milano, 2001, pp. 31 ss.; G. Petrelli, ‘Art. 28 della legge notarile. Espresso divieto di legge e orientamenti giurisprudenziali non consolidati’, in Rivista Notarile, 1997, pp. 1228 ss., nota a Trib. Verbania, 22 aprile 1997, e App. Torino, 17 luglio 1997; S. Tondo, ‘Appunti critici e propositivi sul controllo giudiziario di atti societari’, in Rivista Notarile, 1997, pp. 77 ss.
[40] Un caso (fortunatamente) isolato in cui la Suprema Corte ha ritenuto che la clausola di uno statuto di S.r.l. che prevedeva l’obbligo dei soci di conferimenti indefiniti in futuro e di personale copertura delle perdite non fosse nulla ma comportasse la riqualificazione della società in S.n.c. è dato da Cass., 23 febbraio 1984, n. 1296, in Giur. comm., 1984, n.2, pp. 709 ss., con nota di I. Menghi, ‘Conversione della società o nullità della clausola incompatibile col tipo?’. Critici dell’orientamento espresso dalla Cassazione sono P. Abbadessa, ‘Le disposizioni generali sulle società’, in P. Rescigno (diretto da), Trattato di diritto privato, vol. 16, Utet, Torino, 1985, pp. 40 ss.; N. Abriani, P. Montalenti, ‘La costituzione’, in N. Abriani et al., ‘Le società per azioni’, in G. Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, vol. 4, tomo 1, Cedam, Padova, 2010, p. 105, dove si evidenzia che “se si è voluta costituire una società per azioni omettendone o alterandone un attributo causale essenziale, non si vede come dalla clausola illecita che concreta tale omissione potrebbe germinare una diversa configurazione della fattispecie”; C. Montagnani, ‘La verifica del «tipo sociale» e una recente vicenda giudiziaria’, in Rivista di Diritto Civile., 1988, n.2, pp. 36-37; G. Oppo, ‘L’identificazione del tipo «società di persone»’, in Rivista di Diritto Civile, 1988, n.1, pp. 625 ss.; P. Spada, ‘Autorità e libertà nel diritto delle società per azioni’, in Rivista di Diritto Civile, 1996, n.1, pp. 708-710
[41] L’art. 1419, co. 2° prevede che “[l]a nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative” e sembra ragionevole aderire all’orientamento secondo cui “sostituzione di diritto” altro non significhi che “sostituzione automatica”, come evidenziato, ex pluribus, da Cass., 21 marzo 2011, n. 6364, in Giust. civ., 2011, n.1, p. 2607; Cass., 22 maggio 2001, n. 6956, in Giust. civ., 2002, n.1, pp. 454 ss.
L’applicabilità dell’art. 1419, co. 2° c.c. agli statuti societari sembra oggi incontestabile e si vedano sul punto C. Angelici, La società nulla, Giuffrè, Milano, 1975, pp. 208-209; G. G. Auletta, Il contratto di società commerciale. Requisiti, conclusione, vizi, Giuffrè, Milano, 1937, p. 255, ad avviso del quale “si deve quindi ritenere che in ogni caso resta fermo il contratto, salvo la sostituzione della corrispondente norma legale inderogabile alla clausola statutaria illegale”; A. Borgioli, La nullità della società per azioni, Giuffrè, Milano, 1977, p. 298, nt. 195; G. F. Campobasso, Diritto commerciale. 2 Diritto delle società, 4 ed., Utet, Torino, 1999, p. 48; G. Ferri, ‘Le società’, 3 ed., in F. Vassalli (diretto da), Trattato di diritto civile italiano, vol. 10, tomo 3, Utet, Torino, 1987, p. 76 e p. 894; G. Guerrieri, Trasformazione di società, modificabilità dello statuto e disciplina dell’invalidità, nota a Trib. Brindisi, 3 novembre 2004, in Giur. comm., 2006, n.2, p. 364; G. Meo, ‘Dal controllo giurisdizionale al controllo notarile: legalità e stabilità degli atti’, in Giurisprudenza Commerciale, 2001, n.1, p. 494; G. Oppo, ‘L’identificazione del tipo «società di persone»’, in Rivista di Diritto Civile, 1988, n.1, pp. 626-628; G. A. Rescio, ‘La distinzione del sociale dal parasociale (sulle c.d. clausole statutarie parasociali)’, in Rivista di Diritto Societario., 1991, p. 598, nt. 4; M. Sciuto, La «mancanza dell’atto costitutivo» di società per azioni, Cedam, Padova, 2000, pp. 157-163; P. Spada, ‘Autorità e libertà nel diritto della società per azioni’, in Rivista di Diritto Civile., 1996, n.1, p. 717, ove l’Autore ritiene che sia opportuno “far ricorso alla sostituzione automatica, quando possibile, dello statuo legale, […] con l’obiettivo di scoraggiare l’ottemperanza spontanea alla clausola deviante”.
Si segnala tuttavia la posizione contraria sostenuta da E. Bocchini, I vizi della costituzione e la «nullità della società per azioni», Jovene, Napoli, 1977, pp. 264 ss., spec. nt. 181-bis; M. Sciuto, La clausola statutaria atipica di s.p.a. tra «mancanza» e «nullità parziale» dell’atto costitutivo, nota a Cass., 10 dicembre 1996, n. 10970, in Giur. comm., 1998, II, p. 44.
[42] Così R. Sacchi, A. Vicari, ‘Invalidità delle deliberazioni assembleari’, in O. Cagnasso, L. Panzani (diretto da), Le nuove s.p.a., Zanichelli, Bologna, 2010, p. 704.
[43] In altre parole, i legittimati devono dimostrare il proprio interesse ad agire il quale consiste nel “bisogno di rivolgersi al giudice onde eliminare la dannosità della delibera medesima per la sfera giuridica del soggetto agente” secondo G. Zanarone, ‘L’invalidità delle deliberazioni assembleari’, in G. E. Colombo - G. B. Portale (diretto da), Trattato delle società per azioni, , 3 ed., Utet, Torino, 1993, p. 446. Ad ogni modo, non si condivide qui l’opinione di G. Muscolo, ‘Il nuovo regime dei vizi delle deliberazioni assembleari nelle s.p.a. (seconda parte): l’impugnazione’, in Società, 2003, p. 675; S. A. Villata, Impugnazioni di delibere assembleari e cosa giudicata, Giuffrè, Milano, 2006, pp. 158-160, secondo cui l’interesse che fonda la legittimazione ad agire coincide con l’interesse ad agire.
[44] In tal senso si vedano, prima della Riforma, G. Oppo, ‘Amministratori e sindaci di fronte alle deliberazioni assembleari invalide’, in Rivista di Diritto Commerciale, 1957, n.1, p. 234; G. Zanarone, ‘L’invalidità delle deliberazioni assembleari’, in G. E. Colombo - G. B. Portale (diretto da), Trattato delle società per azioni, , 3 ed., Utet, Torino, 1993, p. 458;
dopo la Riforma, M. Centonze, ‘La delibera nulla: nuove tendenze interpretative e profili di disciplina’, in P. Abbadessa, G. B. Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, vol. 2, Utet, Torino, 2006, pp. 340 ss.; (R. Sacchi, A. Vicari, ‘Invalidità delle deliberazioni assembleari’, in O. Cagnasso, L. Panzani (diretto da), Le nuove s.p.a., Zanichelli, Bologna, 2010, p. 706; A. Stagno d’Alcontres, ‘L’invalidità delle deliberazioni dell’assemblea di s.p.a. La nuova disciplina’, in P. Abbadessa, G. B. Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, vol. 2, Utet, Torino, 2006, pp. 184-185.
[45] Sono favorevoli all’applicazione dell’art. 2378 c.c. anche alle deliberazioni nulle N. Abriani, ‘L’assemblea’, in N. Abriani et al., Le società per azioni, in G. Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, vol. 4, tomo 1, Cedam, Padova, 2010, p. 532; G. F. Campobasso, Diritto commerciale. 2 Diritto delle società, 4a ed., Utet, Torino, 1999, p. 336; A. Carratta, Commento sub art. 2378 c.c., in S. Chiarloni (diretto da), Il nuovo processo societario, Zanichelli, Bologna, 2004, p. 1185; C. Ferri, ‘Le impugnazioni delle delibere assembleari. Profili processuali’, in Rivista Trimestrale di Diritto Processuale Civile, 2005, n. spec., p. 57; G. Guerrieri, Commento sub Art 2378 c.c., in A. Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società, vol.1, Cedam, Padova, 2005, p. 569, nt. 1; M. Libertini, A. Mirone, P. M. Sanfilippo, L’assemblea di società per azioni, Giuffrè, Milano, 2016, pp. 397-398; G. Meo, ‘Gli effetti dell’invalidità delle deliberazioni assembleari’, in P. Abbadessa, G. B. Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, vol. 2, Utet, Torino, 2006, p. 301; G. Muscolo, ‘Il nuovo regime dei vizi delle deliberazioni assembleari di s.p.a. (prima parte): cause ed effetti dell’invalidità dell’atto’, in Società, 2003, p. 544; A. Pisani Massamormile, ‘Invalidità delle delibere assembleari. Stabilità ed effetti’, in Rivista di Diritto Commerciale, 2004, n.1, p. 62; G. Romano-Pavoni, Le deliberazioni delle assemblee delle società, Giuffrè, Milano, 1951, p. 377; S. Sanzo, Commento sub art. 2378 c.c., in G. Cottino et G. Bonfante - O. Cagnasso - P. Montalenti Il nuovo diritto societario, diretto, vol. I, Zanichelli, Bologna, 2004, p. 639 e pp. 645 ss.; A. Stagno d’Alcontres, ‘L’invalidità delle deliberazioni dell’assemblea di s.p.a. La nuova disciplina’, in Il nuovo diritto delle società. in P. Abbadessa, G. B. Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, vol. 2, Utet, Torino, 2006, 194. Si segnala però la contrarietà di questo orientamento da parte di A. A. Romano, Commento sub Art. 2378 c.c., in P. Abbadessa, G.B. Portale (diretto da), Le società per azioni. Codice civile e norme complementari, tomo I, Giuffrè, Milano, 2016, pp. 1089 ss., dove l’Autore afferma che l’art. 2378 c.c. non è applicabile alle deliberazioni nulle, stante il mancato richiamo della norma da parte dell’art. 2379 c.c.
[46] Lo sforzo interpretativo di dottrina e giurisprudenza ha evidenziato come il concetto di “esecuzione” di cui all’art. 2378 c.c. non sia limitato agli atti attuativi del deliberatum, ma ricomprenda gli “effetti” che la deliberazione è in grado di produrre: in tal modo, il rimedio cautelare della sospensione può riguardare anche quelle deliberazioni che, pur raggiungendo immediatamente il proprio scopo, producono effetti perduranti sulla società. Al riguardo, ex pluribus, si vedano Trib. Padova, 8 giugno 2005 e 21 maggio 2005, in Corr. giur., 2006, pp. 1283 ss., con nota di S. A. Villata, La guerra Olanda-Lodi lascia sul campo alcuni principi processuali? (Note in tema di sospensione delle delibere societarie e procedimento cautelare nella vicenda Antonveneta); Trib. Nocera Inferiore, 28 luglio 2003, in Giur. comm., 2004, II, pp. 443 ss., con nota di C. Pecoraro, Procedimento assembleare e tutela dei soci di minoranza; Trib. Napoli, 13 gennaio 1993, in Dir. fall., 1993, II, pp. 572-574, con nota di M. Di Lauro, Alcune questioni in tema di nomina e revoca degli amministratori di società di capitali; Trib. Milano, 4 maggio 1990, in Foro it., 1990, I, pp. 2033 ss.; Trib. Piacenza, 6 maggio 1989, in Riv. dir. comm., 1990, II, pp. 181 ss. In dottrina, si vedano N. Abriani, ‘L’assemblea’, in N. Abriani et al., ‘Le società per azioni’, in G. Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, vol. 4, tomo 1, Cedam, Padova, 2010, p. 535; U. Corea, La sospensione delle deliberazioni societarie nel sistema della tutela giurisdizionale, Giappichelli, Torino, 2008, pp. 180 ss.; U. Corea, ‘Profili del provvedimento cautelare di sospensione delle deliberazioni societarie’, in Rivista di Diritto Commerciale., 2006, n.1, pp. 70-71; I. Kutufà, ‘La sospendibilità di delibere assembleari già eseguite’, in Giurisprudenza Commerciale., 2008, n.1, p. 90; M. Rossi, ‘Sospensione della deliberazione di modifica dello statuto di s.p.a. e abuso di maggioranza’, in Rivista di Diritto Societario, 2016, p. 61; S.A. Villata, Impugnazioni di delibere assembleari e cosa giudicata, Giuffrè, Milano, 2006, p. 236, nt. 308, e 505; C. Zaganelli, ‘Sulla sospensione di delibere di nomina di amministratori di società per azioni e cooperative’, nota a Trib. Avezzano, 29 luglio 1974, e Trib. Chieti, 23 ottobre 1975, in Giurisprudenza Commerciale, 1976, II, pp. 369.
[47] Difatti, l’opinione secondo cui le clausole statutarie nulle introdotte con deliberazioni di modifica dello statuto sarebbero inattaccabili è rimasta isolata in considerazione del fatto che le clausole statutarie nulle così introdotte sarebbero “sanate” dal decorso del termine triennale, finendo per prevalere sulle norme di legge inderogabili. In merito, si veda E. Gliozzi, ‘Le condonabili deroghe a norme inderogabili nel nuovo diritto societario’, in Giurisprudenza Commerciale., 2004, n.1, pp. 16 ss.
[48] Per l’orientamento che distingue tra i diversi tipi di modifiche statutarie si vedano M. Centonze, Commento sub Art. 2379 c.c., in D. U. Santosuosso (a cura di), ‘Della società - Dell’azienda - Della concorrenza’, vol. II, in E. Gabrielli (diretto da), Commentario del codice civile, Utet, Torino, 2015, p. 17; Consiglio Notarile di Milano, ‘Massima n. 13. Clausola statutaria illecita, introdotta con delibera non più impugnabile, e successive decisioni conformi a tale clausola’, in Massime Commissione Società, 18 marzo 2004; G. Palmieri, ‘Le decisioni con oggetto impossibile illecito e l’assenza assoluta di informazione’, in A.A. Dolmetta, G. Presti (a cura di), S.r.l. Commentario, Giuffrè, Milano, 2011, p. 861; P. Spada, Diritto commerciale. II. Elementi, 2 ed., Cedam, Padova, 2009, p. 64.
[49] Così M. Libertini, A. Mirone, P. M. Sanfilippo, L’assemblea di società per azioni, Giuffrè, Milano, 2016, p. 449. La tesi è sostenuta anche da C. Angelici, ‘La società per azioni. I. Principi e problemi’, in P. Schlesinger (diretto da), Trattato di diritto civile e commerciale, , Giuffrè, Milano, 2012, p. 64, nt. 101, ove l’Autore distingue tra “invalidità della deliberazione, che non può più esser fatta valere, e illegittimità della clausola statutaria, che richiede di essere sostituita con la contrastante regola imperativa dell’ordinamento […] ed alla quale resta possibile in ogni tempo richiamarsi per contestare la validità di successivi atti sociali”. Si veda inoltre M. Stella Richter jr, ‘L’inoppugnabilità delle deliberazioni degli organi sociali’, in Rivista di Diritto Societario, 2017, pp. 300-301, dove si distingue tra «decisioni-fatto», che disciplinano un fatto puntuale, e «decisioni-regola», che pongono “nell’organizzazione societaria una regola destinata a trovare applicazione indefinitamente nel tempo e per una serie indeterminata di fattispecie”, ove per queste ultime, “pur non essendo più possibile invalidare la delibera che ha introdotto la regola (in ipotesi illecita perché contrastante con norme imperative), non si può dire che la regola così introdotta nell’ordinamento di quella specifica società sia senz’altro efficace e vincolante posto che ogni qual volta si tratterà di applicarla con un atto successivo si dovrebbe rilevare da parte degli stessi organi sociali […] la contrarietà di tale regola rispetto alla norma imperativa derogata, procedendo quindi alla sua disapplicazione (disapplicazione, ben si intenda, della regola e non della deliberazione)”.
[50] In tal senso M. Cian, ‘Invalidità e inesistenza delle deliberazioni e delle decisioni dei soci nel nuovo diritto societario’, in Rivista di Diritto Societario, 2004, pp. 773-774; P. Spada, Diritto commerciale. II. Elementi, 2 ed., Cedam, Padova, 2009, pp. 60 ss.
[51] Per questo secondo orientamento C. A. Busi, ‘Assemblea e decisioni dei soci nelle società per azioni e nelle società a responsabilità limitata’, in E. Picozza, E. Gabrielli (diretto da), Trattato di diritto dell’economia, vol. 4, Cedam, Padova, 2008, p. 17; R. Lener, commento sub Art. 2379 c.c., in G. Niccolini, A. Stagno d’Alcontres (a cura di), Società di capitali. Commentario, vol. 1, Jovene, Napoli, 2004, p. 566.
[52] In tal senso, per tutti, si veda la chiara esposizione di M. Centonze, ‘La delibera nulla: nuove tendenze interpretative e profili di disciplina’, in P. Abbadessa, G.B. Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, vol. 2, Utet, Torino, 2006, pp. 311 ss.
[53] Così G. Meo, Gli effetti dell’invalidità delle deliberazioni assembleari, Giuffrè, Milano, 1998, p. 57.
[54] L’espressione è di A. Scialoja, ‘L’opposizione del socio alle deliberazioni delle assemblee nelle società anonime’, in Rivista di Diritto Commerciale, 1903, n.1, p. 215 e p. 223.
[55] Difatti, rileva L. Mossa, ‘L’inefficacia della deliberazione dell’assemblea’, in Rivista di Diritto Commerciale., 1915, n.1, p. 442, che “[n]ella pratica le deliberazioni, comunque siano venute in vita, non tardano ad essere eseguite”. Sull’argomento, in maniera cristallina U. Corea, ‘Profili del provvedimento cautelare di sospensione delle deliberazioni societarie’, in Rivista di Diritto Commerciale, 2006, n.1, p. 66, ove si spiega che “[a]gli effetti che si collocano sul piano del diritto, operanti a prescindere da qualsiasi modificazione della realtà materiale, si possono accompagnare gli effetti c.d. concreti o materiali, che si producono nella realtà fenomenica e che dai primi risultano condizionati e regolati. L’effetto materiale e l’effetto giuridico appartengono dunque a due piani distinti, il piano dei valori giuridici e il piano dei fatti”.
[56] Si veda Trib. Tempio Pausania, 7 gennaio 1988, in Dir. fall., 1988, II, p. 334, con nota di D. Di Gravio, Problemi sulla fusione di società e sulla opposizione alla assemblea totalitaria da parte di un socio…assente, dove la Corte evidenzia che anche un contratto viziato da nullità può ugualmente trovare esecuzione da parte dei soggetti contraenti.
[57] Si pensi ad una clausola statutaria che fissa il quorum deliberativo dell’assemblea ordinaria di seconda convocazione al 70% del capitale sociale, qualunque sia l’oggetto della deliberazione, violando così l’art. 2369, co. 4° c.c.; oppure si immagini una clausola statutaria che attribuisce il potere gestorio all’assemblea, violando l’art. 2380-bis c.c.; o ancora una clausola statutaria che sancisce che l’assemblea ordinaria può essere convocata con qualsiasi mezzo fino a 24 ore prima dell’assemblea, contrariamente a quanto disposto dall’art. 2366 c.c. Si tratta di casi palesi di clausole statutarie nulle, ma non per questo insuscettibili di trovare materiale applicazione da parte di soci, amministratori e sindaci della società.
[58] Al riguardo, Consiglio Notarile di Milano, ‘Massima n. 13. Clausola statutaria illecita, introdotta con delibera non più impugnabile, e successive decisioni conformi a tale clausola’, in Massime Commissione Società, 18 marzo 2004; M. Libertini, A. Mirone, P.M. Sanfilippo,L’assemblea di società per azioni, Giuffrè, Milano, 2016, p. 443. Si puntualizza, però, che la presente ricostruzione si focalizza sulle modifiche statutarie di clausole a carattere organizzativo, non invece per le modifiche statutarie che abbiano implicazioni sulla struttura patrimoniale-finanziaria della società (e.g., aumento di capitale). Nel secondo caso, infatti predicare l’invalidità di tutti gli atti compiuti a valle della nuova situazione patrimoniale-finanziaria avrebbe ripercussioni gravissime sulla società, ragion per cui l’invalidità di tali modifiche statutarie è disciplinata da norme (ancor più) speciali e, segnatamente, dall’art. 2379-ter c.c. e dall’art. 2434-bis c.c. Sul punto, G. Palmieri, C. Patriarca, Commento sub Art. 2379 c.c., in P. Abbadessa, G.B. Portale (diretto da), Le società per azioni. Codice civile e norme complementari, tomo 1, Giuffrè, Milano, 2016, pp. 1128-1130.
[59] Argomentando in maniera simile a Consiglio Notarile di Milano, ‘Massima n. 13. Clausola statutaria illecita, introdotta con delibera non più impugnabile, e successive decisioni conformi a tale clausola’, in Massime Commissione Società, 18 marzo 2004, per cui “non è giustificabile un diverso trattamento e valore delle clausole statutarie illecite, a seconda che esse siano presenti sin dalla costituzione della società o posteriormente adottate”, sarebbe irragionevole che le clausole statutarie nulle fossero soggette a disapplicazione da parte degli amministratori solo qualora fossero state introdotte con deliberazione assembleare poiché il potere-dovere di astenersi dall’esecuzione e di proporre l’impugnazione è relativo esclusivamente alle deliberazioni.
[60] Concordi C. Angelici, ‘La società per azioni. I. Principi e problemi’, in P. Schlesinger (diretto da), Trattato di diritto civile e commerciale, Giuffrè, Milano, 2012, p. 337, nt. 115; M. Libertini, A. Mirone, P.M. Sanfilippo, L’assemblea di società per azioni, Giuffrè, Milano, 2016, p. 450; G. Palmieri, C. Patriarca, Commento sub Art. 2379 c.c., in P. Abbadessa, G.B. Portale (diretto da), Le società per azioni. Codice civile e norme complementari, tomo 1, Giuffrè, Milano, 2016, p. 1130.
[61] Per un approfondimento su natura, problemi e funzionamento dello strumento de quo, si veda M. Ventoruzzo, ‘Il risarcimento del danno da deliberazione assembleare invalida a favore dei soci di minoranza non legittimati a impugnare’, in Rivista di Diritto Societario, 2013, pp. 629 ss.